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IL DIRITTO ALLA VITA NELLE SUE MOLTEPLICI ESPRESSIONI
Franco Marin

 Liberato e depurato da ogni altro attributo il nucleo centrale della proposizione di “diritto alla vita” dovrebbe apparire nella sua essenza quello che è, cioè una verità elementare, una proposta non controversa, un contesto nel quale riconoscersi tutti in forza della comune appartenenza al consorzio umano e della consapevolezza che questa appartenenza ci rende partecipi teleologicamente di un destino comune e responsabili storicamente di un comune cammino nell’ avventura esistenziale

 Ebbene, come il contadino ripulisce il suo campo e lo prepara con l’aratro ad accogliere la semente, così noi dovremmo riuscire a far germogliare un seme sapienziale dalla nostra riflessione come un principio preesistente e permanente di conoscenza capace di originare verità. Mi sembra del tutto superfluo mettere in evidenza che in questa accezione il diritto alla vita è qualcosa del tutto diversa dal “bios” e solo incidentalmente ed in modo complementare si allarga - e si diluisce – a considerare le pur importanti correlazioni ecologistiche e naturalistiche che hanno con esso implicazioni. Del pari, esso rimane deliberatamente fuori da argomentazioni “politiche” che accompagnano i diritti umani nel loro faticoso cammino per affermarsi, sebbene tante affinità questi abbiano con il diritto alla vita. Qual è allora l’ambito più proprio nel quale si radica il concetto “diritto alla vita”, quale principio che lo legittima, quale la forza che racchiude e che ne evidenzia la portata esistenziale e storica? 

La risposta è in Maritain laddove egli afferma che è consentito all’uomo di accedere a quel “mondo della vita” nel quale esiste l’idea della persona come individualità determinata, come principio normativo di tutto il mondo umano della storia, della società, della cultura, del diritto. 

Non si tratta di un optional speculativo ma della base su cui fondare il diritto alla vita umana, con le sue peculiarità di libertà, dignità, intelligenza, volontà, autocoscienza e responsabilità. Tutto facile, tutto chiaro allora? La temperie culturale consente molte chiavi di lettura ed in queste non solo le esplorazioni sono impervie ma anche le evidenze sono controverse. (Dico qui, ad abundantiam, che non ho da far valere egemonie culturali né soluzioni predeterminate da prospettare. Sono certo solo dell’urgenza del problema e della sua difficoltà; chiedo rispetto per le idee che espongo soprattutto perché intendo testimoniare prima rispetto alle idee di chiunque non condividesse le mie). E non solo sul terreno della conoscenza e della elaborazione scientifica che è per sua natura in divenire, e quindi con “certezze” incerte e relative e continuamente spostabili; ma anche su quello della comprensione della sua dimensione psicologica che è territorio mai abbastanza esplorato e percorso da controverse acquisizioni. Questo è davvero un luogo “ove per poco il cor non si spaura”. 

Dicevo che la comprensione del postulato non è facile; ma è facile penetrare le complesse realtà ed il mistero (qui nel senso di inconosciuto, di non esplorato) del cammino dell’uomo nel corso della sua evoluzione? E non sarà presunzione leggere a ritroso la storia dell’uomo nel succedersi di epoche che si misurano con le approssimazioni di centinaia di migliaia di anni quando la nostra misura di vita, e le emozioni e la cultura che le accompagnano, è ancora quella manciata di anni – settanta, ottanta -quella “aspettativa di vita” come è chiamata oggi l’età che ci attribuiscono gli studiosi di statistica? 

Non ci nascondiamo la complessità e la contraddittorietà che nelle sequenze temporali che si sono succedute hanno accompagnato la vita ed il suo diritto ad essere: in esse ci sono elementi permanenti o mutanti che producono sia processi di omogeneizzazione culturale che processi di deumanizzazione. Ad esempio, quando la vita si è arricchita del principio solidaristico che rappresenta non solo un lampo di luce che squarcia il buio della notte umana primitiva ma anche un salto di qualità enorme portata nell’organizzazione sociale della vita? Il racconto dell’uomo (uso il titolo di un libro famoso del filosofo inglese Toynbee), è anche il mistero dell’uomo (anche questo è il titolo di un saggio del neuropsichiatra Sir John Eccles, Nobel per la medicina). Mi pare allora che si possa dire che il diritto alla vita appartiene ab initio ad una connaturalità che pure ha conosciuto nel suo percorso storico e culturale progressi e brusche fermate, folgorazioni illuminanti e tenebrose regressioni; ma che in concreto situandosi dentro la storia dell’uomo ha rappresentato la forza che lo ha fatto avanzare – ne sia sempre stato consapevole o meno – dal “momento“ in cui l’uomo è stato, e da quel momento ha proceduto nella storia e si muove verso la nostra storia residua. 

In questo suo riconoscersi esso per la sua stessa essenza è naturalmente debitore all’analisi filosofica, scientifica, etica e giuridica, ma anche alla sensibilità individuale e sociale almeno nella misura in cui questa si riconosce nei valori basici dell’umanesimo, cioè il valore della vita in sé e la sua dignità, la sua difesa ed il servizio che ad essa va prestato. 

Il diritto alla vita appare dunque il pilastro fondamentale, l’asse che regge il tutto dell’esistenza storica, l’albero della vita (metafora, questa, classica dell’antropologia culturale e delle religioni antiche): immagine e segni di una sapienza connaturata all’uomo, che ne accompagna il cammino e che attraversa la materia rendendola fertile di intuizioni e di moralità. In questo ambito si affaccia anche la dimensione religiosa nella quale la materia è resa vitale con il soffio dello Spirito. La meraviglia e l’innocenza della creatura umana fatta ad immagine del suo Creatore è ragione della sua peculiare dignità e valore, sicché il diritto alla vita è riconoscimento di quella radice che è presenza unica, irripetibile, inviolabile che ogni persona rappresenta nella storia dell’universo vivente. Emerge in questa accezione che il diritto alla vita non si esaurisce nell’ambito in cui lo collocano il principio e la fine di naturali fisicità, ma che il significato è ampliato ed i valori si accrescono se esso si apre alla dimensione religiosa. 

Forse la verifica di questo problema sta dentro la visione globale dell’uomo. 

Se rileviamo crisi di valori, incertezze di percorso, relativismo morale e culturale, se ci preoccupano – già per quel che sono e più ancora per quel che preannunciano – svolte comportamentali spogliate di riferimenti ideali … in tutto questo scorgiamo come un affanno della vita, una sottrazione di umanità, una cultura negativa della vita sospinta, quasi senza che se ne avveda, verso i confini dell’abisso. E registriamo egemonie culturali che si vanno costituendo e si appalesano anche con l’inganno del consenso: intendo dire che sta celebrando la sua rivincita la logica pre– aristotelica che enuncia il principio che un’idea deve essere vera se ha maggioranza di consensi. 

Quando si affievolisce la coscienza e si attenuano le ragioni di appartenenza ad un sistema di valori si giustifica ogni evoluzione poiché se si inficia il principio tutto diviene relativo, dalla polverizzazione culturale e morale, alla vanificazione, all’annullamento di esso. 

Ed ecco allora riemergere, prepotenti, egoismi e relativismi morali che si appropriano e si spartiscono (non saprei come dirlo altrimenti) il nostro essere; ed aggressioni e fanatismi della ribellione, elementi disgregativi della vita sociale che come in un flashback ci fanno ripercorrere all’indietro la storia dell’uomo verso antiche ferocie che la ragione vorrebbe sradicate per sempre e che devono essere sconfitte se vogliamo restare nella traiettoria della speranza che la coscienza comune ci indica. Ed ancora il nichilismo disperato compagno di viaggio di questa angoscia che conosce anche vertici di lacerante grandezza. 

La radicalità dei principi, dunque, su cui poggia il diritto alla vita, e la moralità che esso postula, sono dati che procedono in armonia: il principio del diritto alla vita non si esaurisce però nell’enunciazione di un “buon” principio, ma per essere pieno e credibile esso deve collegarsi con il diritto sociale alla vita. E’ il versante su cui il principio primo, cioè il diritto alla vita, si coniuga con le condizioni che rendono possibili e piene le applicazioni del principio. Esso è quella parte aggiuntiva del diritto che ha come oggetto la qualità della vita, che per quanto possibile non va disgiunta dall’assunto primario: la costituiscono la pace, un tetto, l’istruzione, il cibo, il reddito, un ecosistema stabile, la continuità delle risorse, la giustizia e l’equità sociale”. (Congr. Intern. Promozione della Salute – Ottawa 1986). 

E’ l’uomo visto nella sua globalità che sostiene il diritto alla vita, che non prescinde da alcuno degli elementi che ne accompagnano lo svolgersi. Mi permetto una citazione da un mio intervento fatto alla Conferenza Nazionale per la Cultura della vita alla quale sono stato invitato dalla Conferenza Episcopale Italiana, e che si trova nel volume degli Atti. E’ scritto “La totalità dell’esistenza non prescinde da alcuno degli elementi che ne accompagnano lo svolgersi (concepimento, nascita, crescita, malattia, morte) e le domande che l’uomo si pone e le risposte che riesce a darsi non sono soltanto quelle che derivano dal progresso tecnologico – scientifico, ma anche quelle, provenienti dall’intelligenza e dalla coscienza, che conducono come un esile filo di Arianna al nucleo centrale dell’esperienza esistenziale che è caratterizzato da valori umani che si pongono in raccordo con i valori dell’umanesimo integrale”. 

Su questo tema, su questo fronte della cultura, del diritto e della morale, siamo dunque qui a ribadire fedeltà a principi non barattabili, a dare testimonianza a valori che, costitutivi di una cultura della vita, sono anche fondamento di una cultura della pace e della solidarietà. Sono solo espressioni che si impicciano nella melassa della buone intenzioni? Dipende da noi, da quello che siamo e da quello che vorremo diventare: ricordo il luogo comune di Pindaro che dice “l’uomo deve diventare ciò che è”. Il divenire è una traccia lieve ma certa nel tempo: chi “vede” crescere un albero? Chi “vede” consumarsi una pietra? L’invisibile succedersi del tempo è quello dei versi di Rainer Maria Rilke “… logorare un po’ la propria soglia di casa – già alquanto consunta – dopo dei tanti di prima – e primo di quelli di dopo – leggermente …”. 

Nella Cappella Sistina il genio “filosofico” di Michelangelo vede la Creazione di Adamo come un gesto della mano di Dio che si avvicina quasi a sfiorarlo: se non siamo noi ora a ritrarci quella creazione continua.

 

Edizione nr. 79, aprile 2021