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È di moda e la sua diffusione è in aumento ma qual è oggi lo stato dell’arte dell’agricoltura biologica?Dovrebbe essere un tipo di agricoltura che considera l'intero ecosistema agricolo e che sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola solo con interventi limitati e riducendo o escludendo addirittura l'utilizzo sia di prodotti di sintesi che di organismi geneticamente modificati (OGM). Cominciamo col dire che la denominazione che le è stata assegnata è davvero impropria, meglio sarebbe stato chiamarla agricoltura ecologica per mettere in evidenza tanto l’aspetto della conservazione della sostanza organica del terreno quanto la ricerca di una forma di coltivazione a basso impatto ambientale. Il suo target, come ben sappiamo, è innanzitutto garantire al consumatore prodotti senza residui di fitofarmaci o concimi chimici ma anche quello di non dar luogo a impatti negativi sull’ambiente (inquinamenti di terreno, acque e aria). In questo tipo di agricoltura vengono usati fertilizzanti organici, si praticano le rotazioni colturali per non impoverire il terreno e si contrastano le patologie delle coltivazioni utilizzando esclusivamente preparati vegetali. Con lo stesso principio, gli animali vengono allevati con tecniche che rispettano il loro benessere e sono nutriti con prodotti vegetali ottenuti secondo gli stessi principi. La prima regolamentazione in Europa a livello comunitario risale al 1991 con il Reg. (CEE) n° 2092/91 e riguardava non solo il metodo di produzione ma anche le modalità di documentazione dello stesso tanto sui prodotti agricoli quanto sulle derrate alimentari mentre le prime normative sulle produzioni animali arriveranno solo nel 1999 con il Reg. (CE) n° 1804/99. Ma è nel giugno del 2007 che è stato adottato un nuovo regolamento migliorativo CE (n° 834/2007) che abroga i precedenti e si riferisce sia alla produzione biologica che all'etichettatura dei prodotti biologici tanto di origine vegetale che animale.Secondo i dati diffusi da SINAB, il Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica realizzato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, in Italia gli operatori biologici certificati sono oggi 49.709 con netta maggioranza di produttori agricoli ma con numeri interessanti anche di società di preparazione, imprese di commercializzazione e importatori a completamento della filiera. Nei primi sei mesi del 2013 è stato rilevato un aumento complessivo del numero di operatori del 3% e la superficie coltivata con metodo biologico è ora pari a 1.167.362 ettari, con un incremento del 6,4% rispetto all’anno precedente. Sicilia e Calabria sono in testa come numero di aziende agricole mentre quelle di trasformazione vedono al primo posto l’Emilia Romagna, seguita da Lombardia e Veneto. Oggi per l’Italia l’agricoltura biologica è una realtà di importanza strategica enorme, infatti continuiamo a mantenere la leadership in Europa in questo settore e il Ministero delle politiche agricole si dichiara fortemente impegnato a mantenere alto il livello di controllo a garanzia non solo delle produzioni locali ma anche nel vigilare l’ingresso di prodotti biologici importati da altri Paesi.La domanda che ci viene naturale e per la quale tutti vorremmo una risposta è: gli alimenti biologici sono davvero di qualità superiore rispetto ai tradizionali? Innanzitutto, per inquadrare il problema, è necessario caratterizzare i diversi tipi di agricoltura che conducono obbligatoriamente ad una diversa produzione ed una diversa qualità del prodotto. Come primo punto cerchiamo di capire cosa differenzia l’agricoltura convenzionale da quella sostenibile. La prima prevede un metodo di coltivazione quasi sempre intensivo e utilizza prodotti chimici per la fertilizzazione e la difesa delle piante; questo può voler dire presenza nel prodotto di residui (che dovrebbero comunque mantenersi al di sotto dei limiti di legge) e problemi ambientali legati ad alcune pratiche (monocoltura, impiego ripetuto dello stesso principio attivo, ecc.). C’è da dire, a onor del vero, che oggi anche l’agricoltura convenzionale va verso un modello di produzione a basso impatto ambientale perciò meno intensivo. In altre parole prevede anche ripristino e conservazione delle fertilità fisica, chimica, biologica e la salvaguardia della biodiversità e delle varie forme di vita presenti nei terreni coltivati. La seconda, quella biologica o per meglio dire ecologica, si inserisce in una concezione di sostenibilità in termini sociali, ambientali ed economici secondo quanto sopra riportato.
Ma non sono solo due le possibilità che oggi si offrono al coltivatore infatti vi sono tutta una serie di varianti che puntano a limitare l’impiego di sostanze chimiche discostandosi dal tipo convenzionale tradizionale.Tra queste l’agricoltura integrata che privilegia tecniche colturali di tipo agronomico e di lotta guidata e vede l’impiego di mezzi chimici solo come ultima risorsa infatti si propone di sostituire la pratica della lotta a calendario (cioè fatta di interventi prestabiliti nel corso dell’anno) con ciò che si definisce “soglia d’intervento”, cioè si interviene solo quando è davvero necessario e preferibilmente con tecniche fitoiatriche alternative (quindi con farmaci di derivazione vegetale) che possono o meno essere integrate dalla lotta chimica. Poi c’è la lotta biologica e biotecnologica che vuol dire sfruttare quegli insetti che sono gli antagonismi naturali delle specie da eliminare, sfruttamento che implica anche la conservazione dell’antagonismo. Per fare alcuni esempi: il Bacillus Thuringensis contro le larve dei lepidotteri, il Phytoseiulus Persimilis contro il ragnetto rosso, la Chrysoperla Cornea contro alcuni afidi o la Rodolia Cardinalis contro l’Icerya Purchasi.
In questo panorama trova spazio anche l’agricoltura biodinamica che prevede totale autosufficienza con inserimento nei ritmi stagionali della Terra vista come un grande organismo vivente di cui occorre conoscere le leggi per rispettarne e promuoverne la vita. Con questa pratica si seguono specifici calendari per le diverse attività agricole, mentre per la fertilità del terreno e la difesa dalle specie infestanti e dai patogeni vengono impiegati particolari preparati frutto di combinazioni di sostanze appartenenti al regno animale, vegetale e minerale (es: il macerato di ortica come aficida; la farina di roccia, di basalto che sono rivitalizzanti, il cornoletame come fertilizzante). Tutto questo naturalmente con scarso o quasi nullo impiego di sostanze chimiche. Non si perde mai di vista insomma il concetto che l’agricoltura è un artificio creato dall’uomo del quale si cerca quindi di ridurre quanto più possibile l’impatto. E’ proprio da questi ultimi concetti che ha preso origine l’agricoltura “biologica” o “organica” o o, come oggi si preferisce dire, “ecologica” che include tutti quei sistemi di produzione atti a ridurre l’impatto ambientale ottenendo prodotti finali a basso o nullo contenuto in residui.
Questi nuovi modi di concepire una delle più antiche attività dell’uomo hanno avuto origine nella prima metà del secolo scorso in Germania, Austria e Svizzera per estendersi poi in Olanda e in altri paesi fra cui l’Italia. In quel tempo, e fin’oltre la metà del XX secolo, le pratiche di questo tipo furono vivacemente osteggiate da coloro che consideravano frutto esclusivo dell’uso di prodotti chimici, di fertilizzanti, di diserbanti ecc quell’aumento, peraltro iniziale, della produzione agricola e quindi dei profitti. Nonostante gli ostacoli, lo sviluppo di questo modo alternativo di concepire un mestiere antico è stato costante nel tempo e si è fatto strada tra molteplici difficoltà come la carenza di organizzazione nella commercializzazione o l’assenza di tecnici dotati di esperienza che fossero in grado di garantire quello che oggi chiamiamo sviluppo sostenibile. Nella fase odierna il biologico non è teso solo all’economicità ma si preoccupa soprattutto del consumatore, il “nuovo consumatore” che acquista sempre più conoscenza e perciò s’interessa del bene per le sue caratteristiche qualitative. Ma, è proprio tutto vero quello che viene pubblicizzato sul “biologico”. Ci sono studi che risalgono all’ormai lontano 2005, nei quali si dimostra che questi prodotti sono privi di residui di fitofarmaci e hanno un contenuto superiore di antiossidanti e di nutrienti ma in generale, secondo una metanalisi (*) svolta dall'Agenzia Francese per la Sicurezza Alimentare, oggi non ci sono dati che ci consentano di concludere che esistono differenze rimarcabili tra prodotti convenzionali e biologici in quanto ad apporti nutrizionali. Se alcune ricerche hanno mostrato che pesche, mele e kiwi biologici hanno consistenza maggiore, polpa più soda e contengono una maggiore quantità di sostanze nutritive e antiossidanti (zuccheri, vitamina C, beta-carotene) c’è da dire che nel confronto c’è un gap di partenza in quanto le varietà scelte per la coltivazione biologica sono spesso le più pregiate. Riguardo alle piante biologiche un’ipotesi suggestiva è che essenon godendo di aiuti “esterni”, siano costrette, per poter sopravvivere, a produrre da sole sostanze difensive contro i loro nemici naturali: insetti, funghi e batteri ma oggi queste sostanze non sono ancora del tutto note e non si esclude che possano non essere benefiche neppure per l’uomo. La letteratura scientifica a riguardo ci offre risultati contrastanti. Una ricerca dell'Università di Stanford rileva come non ci sia differenza tra prodotti biologici e convenzionali, se si considerano gli effetti sulla salute, e che i prodotti biologici non risultano più nutritivi degli altri. Lo studio riscontra inoltre presenza di pesticidi superiore del 30% nei prodotti di agricoltura convenzionale, ma sostiene che questa percentuale non avrebbe ricadute sulla salute dell'uomo. Al contrario, secondo alcuni recenti studi, i cibi biologici presenterebbero valori più elevati di micotossine (aflatossine e altri contaminanti) e, anche se lo studio "Food safety and quality as affected by organic farming", presentato alla XXII Conferenza FAO per l'Europa, afferma che “si può escludere che la produzione biologica conduca ad un rischio di contaminazione da micotossine più elevato", in quella conferenza le conclusioni sottolineavano comunque la necessità di ulteriori studi sull'argomento.Un’altra domanda che ci sorge spontanea è se davvero l’agricoltura biologica sia eco-sostenibile? La prima cosa da dire è che, date le rese mediamente inferiori del 20-45% rispetto all’agricoltura convenzionale, per produrre le medesime quantità sarebbe necessario mettere a coltura il 25-64% di terre in più e questo porterebbe alla distruzione di habitat naturali importanti per la biodiversità oppure ad aggravare il problema della fame nel mondo (anche se si sa bene che la vera ragione della fame non è tanto legata all’insufficiente produzione quanto alla distribuzione iniqua dei prodotti agricoli). In realtà è l'attuale sistema intensivo di produzione a non poter essere sostenibile nel lungo periodo mentre la proposta di un’agricoltura biologica nasce da un differente punto di vista cioè una filosofia di vita che va oltre l'utilizzo o meno di fertilizzanti di sintesi. Forse non a tutti è noto che fare oggi agricoltura biologica su scala industriale, limitandosi a seguire il disciplinare di produzione per ottenere la certificazione, è un controsenso. Ci si trova di fronte a paradossi dei quali neppure si conosce l’esistenza. Usare fertilizzanti organici provenienti da animali non allevati in modo naturale è oggi consentito, a causa della scarsità di animali allevati in modo biologico, e ciò rende l’agricoltura biologica fortemente dipendente da quella convenzionale. E’ chiaro che, se il fenomeno che per il momento è ancora di nicchia dovesse diventare globale, non sarebbe davvero più sostenibile. Certo è che l’agricoltura biologica, oltre a tutelare la biodiversità, fertilizza il terreno invece di favorire processi di desertificazione, come nel convenzionale dove i quantitativi di fertilizzanti devono essere aumentati costantemente per una parità di resa. Inoltre in agricoltura biologica la scelta dei prodotti e delle molecole utilizzabili è decisa in base alla loro origine che deve essere naturale. Ma la distinzione tra prodotti naturali e di sintesi parte dall'erronea conclusione che i secondi siano più tossici dei primi e questo punto di vista consente, o ha consentito, di usare prodotti naturali che presentano, ahimè, tossicità superiori a quelle di diversi prodotti sintetici. Mi riferisco, per esempio, al rotenone, un insetticida e acaricida naturale estratto da una leguminosa, il cui impiego non è più permesso dall’aprile 2011 data la sua moderata tossicità per i mammiferi e la sua alta tossicità per i pesci in quanto persiste nell’acqua per più di sei mesi. Nell'uomo l'avvelenamento da rotenone provoca generalmente vomito, nausea, dolori addominali, tremori, convulsioni, irritazioni cutanee, alterazioni del ritmo respiratorio e del battito cardiaco a causa della sua capacità di inibire la catena respiratoria mitocondriale. Sui ratti è stata accertata l'induzione del Morbo di Parkinson. Nonostante tutto ciò, l’Italia è oggi tra i primi 10 paesi al mondo nella produzione di “biologico” per la maggior parte destinato all’esportazione, soprattutto in Germania; e questo perché il consumo da parte nostra ha subito un forte rallentamento legato sia ai costi maggiori che all’approfondimento della conoscenza dell’argomento che ha ridimensionato notevolmente il fascino che inizialmente ci aveva conquistato. Oggi il 50% della superficie italiana a biologico è confinata ad alcune specie arboree (ulivo) e ai pascoli in quanto le colture di cereali, per esempio, non essendo permesso l’uso dei diserbanti, richiedono un maggior numero di lavorazioni meccaniche con aumenti dei costi di produzione che ricadono poi sul consumatore.Infine, chi controlla il rispetto dei regolamenti sulla produzione biologica? Si tratta di enti privati, autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole, che hanno il compito di verificare il rispetto dei regolamenti e concedere il proprio marchio da apporre alle etichette dei prodotti venduti dall'azienda associata. Tali organismi dovrebbero rispettare il principio di "terzietà" ma non sempre è così. In definitiva, non è etico continuare a descrivere gli alimenti biologici come un qualche cosa di immacolato, esente da trattamenti e naturale al 100%; in tal modo si inganna il consumatore e si alimentano aspettative che, una volta deluse, tolgono credibilità all’intero settore. Il consumatore si aspetta che un prodotto “biologico” abbia un impatto ambientale inferiore e sia stato coltivato nel rispetto della natura e non è disposto ad accettare le frodi, pure presenti e in aumento, in questo settore che crede migliore non fosse altro per il maggior valore commerciale dei prodotti. Dobbiamo diventare consapevoli che non solo i trattamenti con molecole di sintesi sono pericolosi, lo sono anche i veleni naturali che magari non possono essere neppure eliminati con il lavaggio.Come spesso accade tutto ciò che sa di novità, e il settore alimentare non fa eccezione, ha facile presa sul consumatore ma ciò non vuol dire necessariamente assenza di pericolosità per la salute.(*) Metanalisi: una serie di metodi matematico-statistici che consente di integrare i risultati di diversi studi scientifici per ottenere un unico indice di stima quantitativo che permetta di trarre conclusioni più forti di quelle tratte da ogni singolo studio.
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