La volontà di stabilire un contatto e creare collaborazione tra il mondo artistico e quello industriale fu indubbiamente uno dei sintomi dell’ansia ottocentesca di affermare il carattere sociale dell’arte. Il cammino lungo questa via era iniziato a metà dell’Ottocento con il movimento morrisiano di Arts and Crafts e, in seguito, era proseguito con le esperienze proto-industriali del Deutscher Werkbund. Queste due comunità volevano formare una classe di artefici ideatori di forme moderne, adatte alle tecnologie industriali: compito storico che può leggersi come l’ultima battaglia intrapresa dalla resistenza romantica contro la supremazia del Classicismo. In una società ideale che abbia superato la fase delle lotte di classe, non avrà più senso parlare di un lavoro manuale e servile contrapposto al nobile lavoro ideale e creativo. Obiettivo dell’artista non sarà più raggiungere la bellezza assoluta, mera congettura di lunga tradizione. La bellezza infatti è un elemento della realtà che si manifesta soltanto a posteriori e corrisponde al piacere che l’opera d’arte procura.
Questi sforzi confluirono nel progetto di Walter Gropius il quale, grazie all’appoggio del Granduca di Sassonia-Weimar, nel 1919 assunse la direzione della Sächsische Hochschule für bildende Kunst (Accademia d i belle arti) e della Sächsische Kunstgewerbeschule (Scuola di arti applicate). La Bauhaus nacque dalla fusione di questi due istituti e seguì un programma molto simile a quello del Werkbund ma, grazie all’indole razionale del suo direttore, presto sviluppò una metodologia operativa così rigorosa da cancellare anche le ultime tracce di quel vago estetismo che il Werkbund aveva ereditato dal movimento Arts and Crafts. Questa evoluzione non fu tesa a sminuire il valore dell’artigianato ma a creare una continuità di sviluppo tra esso e l’industria, intese come fasi successive nella storia della società. «È nella natura dello spirito umano perfezionare e affinare sempre di più l’utensile per meccanizzare il lavoro materiale e alleggerire gradualmente il lavoro spirituale; …. Oggi artigianato e industria tendono sempre di più ad avvicinarsi: devono anzi gradualmente fondersi in una nuova unità produttiva, …. In questa l’artigianato sarà il campo sperimentale dell’industria e, agendo così, creerà le norme per la produzione industriale» (W. Gropius).
Tra lo strumento del lavoro manuale e l’apparato industriale esiste una differenza di tipo quantitativo e non qualitativo: la macchina funzionerà in maniera produttiva solamente se chi la utilizza conoscerà magistralmente anche gli arnesi del lavoro ar
igianale. Così, se questa figura professionale deve formarsi sviluppando la padronanza del macchinario partendo da quella dell’utensile, il suo corso formativo riprodurrà il processo evolutivo dall’artigianato all’industria. Essendo questo l’obiettivo pedagogico della Bauhaus, la comunità raccolta in questa scuola fu dunque una società in nuce, poiché il processo didattico riproduceva il processo dell’evoluzione sociale. Infatti, benché la Bauhaus sia stata a tutti gli effetti una scuola governativa, la sua vera natura fu quella di una comunità artistica organizzata democraticamente, basata sulla stretta collaborazione tra docenti ed allievi. Un piccolo ma efficientissimo sistema sociale che, pur non avendo a disposizione fondi cospicui, riuscì a far quadrare il proprio bilancio fornendo all’industria modelli destinati a compiere la storia del prodotto industriale. Tali modelli furono il magnifico frutto del lavoro di stretta collaborazione tra insegnanti e studenti della Bauhaus. Infatti que sti ultimi partecipavano con pieno diritto di parola e di voto al consiglio della scuola, che si occupava soprattutto di intrattenere relazioni con il mondo della produzione industriale.
Un’altra caratteristica importante della didattica di questa scuola trae la propria origine dalla convinzione che il tanto agognato ideale internazionale fosse ormai una realtà compiuta. Al sentimento romantico, che già ai Fauves e agli Espressionisti aveva provocato disgusto e repulsione, si contrappose la pura razionalità che gradualmente attenuò le contraddizioni dell’Espressionismo, sempre in bilico tra un aspro realismo e un misticismo trascendentale. I
prodotti artistici (se così si possono definire) usciti dalle officine della Bauhaus si autodefiniscono "non ispirati" poiché nel mito dell’ispirazione artistica stimolata da forze misteriose e divine, si cela la presunzione di un privilegio concesso ad un’élite, incaricata del nobile compito di ricevere e trasmettere un messaggio cosmico. Tale arduo compito non può essere compiuto da una massa non illuminata, condannata ad una perenne inferiorità: solo le menti più sviluppate e le personalità più sensibili alle mistiche entità che governano il creato, saranno iniziate a questa missione.
Non suscita meraviglia il fatto che, nella Germania del dopoguerra, il programma internazionalistico e la razionalità della Bauhaus abbiano destato uno scandalo molto più sentito rispetto a quello provocato pochi anni prima dall’Espressionismo: che dopo tutto altro non era se non il sintomo più evidente di quel male di vivere di cui, infondo, la borghesia tedesca si compiaceva e nel quale amava crogiolarsi. Invece, la cruda razionalità della Bauhaus costrinse a guardare in faccia la sconfitta, così che tutti gli sforzi intrapresi da Gropius per tenere la sua scuola fuori da ogni dibattito politico non riuscirono ad evitare che contro di essa nascesse un’ostilità accanita da parte di quella stessa società cui il suo programma era fiduciosamente rivolto. Contro la Bauhaus si coalizzarono: l’ambiente artistico ufficiale, che considerava l’arte un privilegio riservato a pochi eletti, l’artigianato tradizionalistico e conservatore, l’alta burocrazia e le destre nazionaliste appoggiate dal grande capitalismo. Nel 1925, quando la violenza e le ostilità di questi gruppi reazionari obbligarono Gropius a trasferire la sede della sua scuola a Dessau, fu inviata una petizione al governo della Turingia: celebre documento che tra le tante altre, reca le firme di Behrens, Einstein, Oud, Gerhart Hauptmann, Ludwig Justi, Mies van der Rohe, Poelzig, Pankok, Hoffmann, Hofmannsthal, Kokoschka, Max Reinhardt, Schönberg, Strzygowsky, Werfel, Muthesius. Nello stesso anno sorse la nuova sede del Bauhaus di Dessau, la cui struttura architettonica fu disegnata dallo stesso Gropius secondo i principi della nuova architettura: la leggerezza delle strutture e la luminosità naturale degli interni en plein-air ottenuta grazie all’utilizzo di grandi pareti di vetro e di esili membrane che dividono un ambiente dall’altro. «L’errore pedagogico fondamentale dell’accademia consisteva nel puntare sul genio invece che sulla media». Con questa epigrafica affermazione Gropius intese spiegare il principio di democratica razionalità che doveva essere alla base di ogni corso tenuto nella sua scuola. La perseverante ricerca della collaborazione avrebbe neutralizzato l’arbitrio del genio individuale, che reca con sé il rischio dell’esaltazione superomistica. Inoltre la
produzione di massa implica una progettualità molto diversa da quella del pezzo unico. L’artigiano conserva la possibilità di modificare il disegno iniziale in ogni momento della lavorazione, per rispondere ad esigenze particolari o a richieste specifiche: gli oggetti più riusciti sono quelli che nascono dalla sintesi del maggior numero di esperienze possibili. Se invece la lavorazione è affidata alla macchina industriale, tutto ciò deve essere previsto e sinteticamente compiuto nella fase progettuale e la collaborazione tra le diverse figure professionali che partecipano alla produzione dell’oggetto, diventa necessaria. Nel programma della Bauhaus lo standard, il prodotto della media per la media, è corollario comune: lo scopo è di conseguire il massimo della qualità con il minimo costo. La diffusione di tali oggetti avrebbe inoltre aiutato a livellare le differenze sociali, poiché il tipo standard modifica radicalmente il rapporto tra il pubblico e l’oggetto: quest’ultimo non dovrà più essere contemplato o goduto per la sua unicità, ma potrà essere unicamente usato con la razionalità che esso stesso, con la sua forma, impone. Lo spettatore diventa utente e lo spettacolo si trasforma così nell’ambiente perfettamente funzionale che lo circonda e che, ormai, condiziona positivamente la sua esistenza.
Gli studenti della Bauhaus erano in media poco più di duecento, la loro età variava dai diciassette ai quarant’anni e provenivano principalmente da Germania ed Austria. Per gli allievi con meno possibilità economiche Gropius aveva ottenuto dal Governo della Turingia l’esenzione dalla retta e dalle tasse. Le più grandi personalità artistiche dell’epoca collaborarono al progetto di Gropius come membri del corpo docente della Bauhaus: Johannes Itten fu professore del corso preliminare fin dall’anno di fondazione; nel 1921 si aggiunsero Paul Klee e Oscar Schlemmer; nel ’22 Kandinskij e nel ’23 Moholy-Nagy. Nel 1923 Josef Albers sostituì Itten nella direzione del corso preliminare. La durata complessiva dei corsi di studio era di tre anni e sei mesi, poiché il primo semestre era interamente dedicato al corso preparatorio. Nel corso di questi primi sei mesi allo studente veniva richiesto di osservare ed analizzare opere d’arte antiche secondo il criterio della "pura visibilità", molto in voga nelle contemporanee teorie dell’arte. Inoltre, estrema importanza era data allo studio particolareggiato della natura delle cose, intesa come fusione di forma e materia in un oggetto: l’artista così entrava in contatto diretto con esso, lo percepiva nella sua vera essenza materica che poteva essere opaca o lucida, soffice o compatta, liscia o ruvida ecc. In questo modo tutto il sistema sensoriale
era sollecitato e lo studente raggiungeva una profonda conoscenza dell’ambiente che lo circondava, fosse esso composto di artefatti umani o di elementi naturali.
Quando ad Itten subentrarono Albers e Moholy-Nagy, la didattica essenzialmente sperimentale del corso preliminare iniziò a trasformarsi in una più diretta ricerca formale, metamorfosi in parte determinata anche dall’esperienza costruttiva che Gropius stava sperimentando nelle sue architetture. Superato questo semestre l’allievo era ammesso a frequentare i corsi superiori, durante i quali la sua formazione risultava da un insieme di esperienze tecniche e formali. L’insegnamento tecnico si svolgeva in laboratori speciali, ognuno destinato ad un materiale diverso, ed era completato da corsi teorici sulla struttura meccanica e chimico-fisica dei materiali, sull’utilizzo degli strumenti di lavoro e da nozioni generali sulla gestione delle aziende. L’insegnamento formale invece si articolava in tre fasi: l’osservazione (studio particolareggiato della realtà, teoria dei materiali); la rappresentazione (teoria delle proiezioni, tecnica delle costruzioni, disegno e realizzazione di modelli); la composizione (teoria dello spazio, teoria del colore, teoria della composizione).
In tutti i settori dell’insegnamento artistico della Bauhaus avvenne il medesimo processo evolutivo, dalle forme dell’artigianato a quelle dell’industria. Nel laboratorio del mobile, diretto da Marcel Breuer, fino al 1925 prevalse l’impiego del legno. La ricerca della qualità razionale portò ad una certa tipizzazione e schematizzazione degli elementi costruttivi, ma i mobili creati in quegli anni rimasero essenzialmente di fattura artigianale. Dal 1925 le ricerche e le creazioni di Breuer e dei suoi allievi divennero del tutto indipendenti dalla tecnica artigianale. Del ’25 è, infatti, la prima sedia in tubolare metallico ideata dal maestro, il cui disegno evolverà presto nella mitica poltrona "Wassily", così chiamata in onore del suo amico e collega che era stato il primo a vederla e che aveva molto apprezzato la dinamicità delle sue linee e il suo carattere grafico. Anche l’evoluzione del laboratorio della ceramica partì dalla riscoperta di forme popolaresche, in polemica contrapposizione con la superfluità e con l’eccessivo decorativismo degli oggetti apprezzati dal gusto borghese, giungendo alla determinazione di forme semplici, s
tudiate per la produzione in serie. Analogo lo sviluppo del laboratorio dei metalli dove, quando la direzione passò sotto la guida di Moholy-Naghy, si abbandonò la lavorazione manuale dei metalli preziosi per dedicarsi alla lavorazione industriale dell’acciaio cromato, dell’alluminio e del nichelio soprattutto in vista di adoperarli negli impianti d’illuminazione. Le nostre consuetudini nell’impiego della luce dipendono in gran parte dai modelli realizzati in quegli anni nelle officine della Bauhaus, poiché molti dei diffusori e delle lampade da tavolo create sia dai maestri che dagli allievi di questa scuola, sono stati prodotti industrialmente e sono entrati nell’uso comune. L’origine della progettazione costruttiva della sorgente luminosa sembra risalire allo stesso Gropius che, già nel 1923, immaginava per il proprio studio un sistema di tubi diffusori orientati secondo la distribuzione dei mobili: per la prima volta la lampada non fu concepita come un complicato oggetto ornamentale che all’occasione serviva per illuminare in maniera approssimativa un ambiente, ma come la soluzione funzionale di un problema. Nell’insegnamento delle tecniche di decorazione parietale la personalità dominante fu inizialmente quella di Oskar Schlemmer che creò per la sede di Weimar una serie di opere murali in stucco e pittura. Durante il periodo di Dessau, per suggerimento diretto di Gropius, le ricerche in questo settore cambiarono profondamente per volgersi ad altre problematiche: nuovi tipi di carta da parati, privi di elementi decorativi e il cui valore artistico risiedeva unicamente nella qualità della superficie, nel tessuto o nella grana del materiale. Anche questi tipi furono adottati dall’industria e diffusi su larghissima scala. L’evoluzione nell’insegnamento delle tecniche di tessitura seguì molto da vicino lo sviluppo del laboratorio di decorazione parietale. In entrambi i casi, infatti, si opera in una sfera molto prossima a quella della pittura che, nel primo caso si sovrappone alla parete e nel secondo, penetra nel tessuto. Così, molti dei motivi che in quegli anni ispiravano pittori come Kandinskij e Klee, affiorarono nelle forme taglienti e nei colori accesi dei tessuti creati da questo laboratorio che, inutile dirlo, influirono notevolmente sullo sviluppo della produzione tessile. La riforma della tipografia teorizzata dalla Bauhaus rinnovò completamente sia la forma dei caratteri, ridotti ad una combinazione di rette, cerchi e semicerchi, che l’architettura della pagina e del libro. Le forme lineari e pulite ideate dalla Bauhaus sostituirono le antiche lettere gotiche e le panciute e chiaroscurate lettere latine; fu eliminato perfino l’uso delle maiuscole. Questo nuovo carattere era l’unico ammesso nelle creazioni pubblicitarie, nei manifesti e nella grafica della scuola. Il concetto alla base di questo cambiamento fu di pensare la pagina in funzione della lettura e non più della scrittura. Per secoli i caratteri tipografici avevano ricalcato le forme dell’arte amanuense: ora invece dovevano diventare lo strumento che avrebbe permesso al lettore di entrare in contatto con la realtà significante nascosta nella pagina, graficamente rappresentata dal testo scritto. Nella concezione scenica della Bauhaus confluirono i motivi del teatro futurista italiano. La netta contrapposizione tra palcoscenico e platea venne a mancare, poiché ora l’azione teatrale si dilatava fino a coinvolgere lo spettatore che, sottoposto a forti emozioni, era chiamato a partecipare alla recitazione. Personaggi, movimento, musica, luci e colori creavano un organismo unico in uno spazio animato, colorato e sonoro. I costumi teatrali ideati da Schlemmer sembrano derivare la propria forma dalla visione stroboscopica, che riproduce in un’unica immagine le posizioni successive di un corpo in movimento. Le esperienze nel campo della grafica pubblicitaria e del teatro compiute dalla Bauhaus, portarono allo sviluppo di un nuovo campo dell’architettura: la presentazione delle mostre che annualmente venivano organizzate per esporre le creazioni di maestri ed allievi. L’oggetto non si trovò più collocato su di un piedistallo, come un immobile attore che posa in una scena neutra, studiata per esaltarne la grazia e l’eccellenza. Nelle sale di queste mostre l’oggetto poteva agire muovendosi, moltiplicandosi, plasmandosi improvvisamente in una scritta o trasformandosi in un’architettura. Il provvisorio abitante di questa nuova architett
ura proteiforme e trasformista si trovava così a vagare in un ambiente che lo condizionava direttamente, obbligandolo ad uno stato di tensione mentale; uno spazio che nasceva dalla vita stessa. Al termine del corso triennale, dopo aver sostenuto un esame valutato da una commissione esterna, lo studente conseguiva il diploma di artigiano. Sostenendo una prova più severa, valutata da commissione interna, otteneva il diploma di «artigiano dellaBauhaus». Seguiva un corso di perfezionamento fondato sull’insegnamento dell’architettura, integrato dal tirocinio pratico nel cantiere sperimentale della scuola la cui durata era variabile. Gli studenti che portavano a termine questo periodo di lavoro, dopo aver sostenuto un esame dinanzi a commissione esterna, raggiungevano il grado di «maestro d’arte»; il percorso di studi era completato da un ultimo esame, valutato da una commissione interna, che dava accesso al titolo di «maestro d’arte della Bauhaus».
Come Gropius ha più volte affermato, non è mai esistito uno stile della Bauhaus; ma la razionalità, la coerenza e l’infallibile capacità di creare forme funzionali rappresentano la filosofia progettuale che questo perfetto meccanismo didattico ha lasciato in eredità a generazioni di artisti.