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IL «NULLA LIBERATO» KAZIMIR MALEVIČ E IL PENSIERO SUPREMATISTA
Piera Melone

     

 

 

La non-figuratività, l’estromissione e poi la completa eliminazione dell’oggetto che non lascia traccia negando addirittura il principio stesso della rappresentazione, riassumono in sé quel gesto violento che fa del Suprematismo l’esperimento pittorico più radicale del XX secolo. Scongiura ogni contraddizione Kazimir Severinovič Malevič (Kiev, 1878 – Leningrado, 1935), che del Suprematismo è la mano e la mente, levandosi dalle basi del Cubismo e partendo da un concetto puramente futurista reso già esplicito dal manifesto italiano [La pittura futurista, 1910]: «Affermiamo ancora una volta che il ritratto, per essere un’opera d’arte, non può né deve assomigliare al suo modello e che il pittore ha in sé i paesaggi che vuol produrre». Se, come nota lo stesso Malevič nel suo articolo Ot Kubizma k Suprematizmu. Novyj živopisnyj realizm [Dal cubismo al suprematismo. Il nuovo realismo pittorico, 1915] : «si ha creazione soltanto in quei quadri in cui è presente la forma che non attinge a nulla che sia già stato creato in natura» allora si comprende come l’assenza di un referente reale non costituisca una negazione dell’arte in sé (poiché essa deve corrispondere a creazione, e non già a riproduzione), ma una sua decisa riaffermazione in un nuovo ordine che vada oltre l’apparenza della «cosa» per spingersi in una dimensione ontologica il cui unico obiettivo sia quello di mettere a nudo l’essere.

Il “Quadrato nero”, quell’abisso forte, terribile, oscuro concentrato nello spazio bianco idealmente infinito creato da Malevič nel 1915 (retrodatato dall’autore al 1913), risponde precisamente alla necessità di liberare il Nulla come «essenza delle diversità», come «mondo senza-oggetto», al di là dello zero, oltre l’astrattismo, oltre lo spazio («mi sono trasformato nello zero della forma e sono andato al di là di 0-1», scrive in quegli anni). Si tratta di uno dei volti della vacuità di tutte le nostre rappresentazioni, emanazione dell’essere non-figurativo assoluto (che non viene rappresentato, ma semplicemente, è), e primo polo fondamentale del Suprematismo che offre come punto d’arrivo il Quadrato bianco (1918), ovvero la libertà totale negli spazi del Nulla (sottolinea nei versi Ne najdja sebe načalo, “Non trovando per me un inizio”, 1917: «Purifica il tuo orecchio e cancella i giorni passati, poiché/ solo allora sarai bianco e percettivo». Se, come Malevič afferma nel trattato Bog ne skinut. Iskusstvo. Cerkov’. Fabrika. [Dio non è stato detronizzato. Arte. Chiesa. Fabbrica, 1922] «il miracolo della natura consiste nel fatto che essa è contenuta tutta in un piccolo seme, e tuttavia è impossibile abbracciarla interamente», è pur vero che «il cranio dell’Uomo (…) è uguale all’Universo, poiché in esso è messo tutto quello che egli vede». Non l’ “astrazione” dunque, ma l’apparizione, l’epifania, è ciò a cui l’artista deve tendere, riconoscendo un solo mondo, quello dell’abisso dell’essere che può trovarsi solo grazie ad un’intuizione che vada oltre il Cubismo, ove l’oggetto materiale non scompare, ma viene scomposto per poi essere ricostruito secondo una logica pittorica di volumi e contasti; oltre il Futurismo, che non si separa dall’oggetto, limitandosi a reinterpretarlo come sensazione dinamica.
Dalla disgregazione (raspadenija) del “Quadrato nero” nascono le geometrie delle 48 tele Suprematiste esposte da Malevič nel dicembre 1915 all’ “Ultima mostra Futurista 0,10” presso Pietrogrado, dove proprio al Quadrato («il trionfo del “quattro punti” sul “tre punti”» che da sempre rappresenta il divino) è destinato l’angolo superiore della parete, il Krasnyj Ugol, l’ “Angolo Bello”, tradizionalmente riservato, in ogni casa ortodossa russa, all’icona. I quadri presentati dall’artista sono superfici di puro colore (per lui come per Kandinskij il colore è espressione di energia spirituale), nude, senza peso, come quadrati, cerchi, croci e  combinazioni derivate dalla forma quadrata primigenia, l’unità di base verso cui tendono tutte quante. Il “Quadrato nero” è il primo segno reale dell’eclissi dell’oggetto, ma per arrivare a questo Malevič compirà un percorso di ricerca sfruttando, tra il 1912 e il 1914 i principi del Cubismo (scomposizione e movimento) e innestandovi il sistema “a-logista” (la pittura perde definitivamente il proprio statuto di rappresentazione del mondo sensibile grazie ad un gesto che introduce l’assurdo) e la nozione di zaum’ (in opposizione a um, mente, o a ra-zum, ragione, ovvero “trans-razionale”, “trans-mentale”: il tentativo di attingere ad una forma pura, al di là della parola e dell’immagine, fino a giungere all’essenza dell’Uomo) già molto utilizzata dall’avanguardia poetica in forma di linguaggio primitivo, autonomo, che ha come unico scopo l’utilizzo della parola libera, non soggetta a generi e soggetti.

Così, “Un inglese a Mosca” è una tela che irrompe in due mondi, divisa com’è, verticalmente, in due sezioni raffiguranti da una parte il volto visibile, sociale del soggetto, e dall’altra il suo inconscio; in “La mucca e il violino”, emerge invece un confronto a-logico di due forme delle quali la prima è in procinto di distruggere la seconda, il violino, che è anche oggetto figurativo per eccellenza del Cubismo.
Come dichiara però lo stesso Malevič, il Suprematismo nasce ancora prima del dicembre 1915, e precisamente nel 1913, al sorgere di un altro fondamentale progetto, rappresentato al Teatro Luna Park di Pietrogrado, che è Pobeda nad solncem [Vittoria sul sole, 1913], spettacolo lirico-teatrale cubo-futurista sorto dall’incontro di tre menti geniali dell’avanguardia russa come Michail Matjušin (Nižnij Novgorod, 1861 – Leningrado, 1934), che compone ed esegue la sua musica dissonante su un pianoforte scordato, Aleksej Kručёnych (Olevsk, 1886 – Mosca, 1968), poeta e teorico del linguaggio trans-mentale, che si occupa del testo leggendo di fronte al pubblico il prologo di un altro intellettuale dell’avanguardia,  Velemir Chlebnikov (Astrachan, 1885 – Santalovo, 1922), e infine Malevič, che disegna scenografie e costumi, scomponendo nel suo lavoro corpi e visi alla maniera cubista fino ad ottenere, grazie anche all’uso di maschere, l’immagine di un’iperbolica umanità. Il sipario non viene tirato, ma strappato, e nei costumi vengono evidenziati piani geometrici colorati, bidimensionali, il cui contrasto con le forme corporee viene accentuato dall’uso rivoluzionario dell’illuminazione.

Il tema è proprio la lotta contro il Sole - simbolo della realtà oggettiva e del vecchio ordine culturale – intrapresa dagli uomini nuovi, i «forzuti futuristi» che alla quinta scena del secondo ed ultimo atto, sopravvissuti alla distruzione del vecchio mondo, raggiungono il nuovo, rigorosamente maschile, “decimo terro”. Qui non esiste più la forza di gravità, e ad accoglierli è non a caso un Universo espresso nella forma essenziale di un quadrato metà bianco e metà nero, quello che nel progetto della  seconda edizione di “Vittoria sul sole” diverrà, secondo le parole di Malevič in una lettera a Matjušin del 1915, il sipario rappresentante «un quadrato nero, il germe di tutto il potenziale che, sviluppandosi, acquisirà una terribile potenza. E’ all’origine del cubo e della sfera e nella sua disintegrazione porterà alla pittura una mirabile cultura».
Risulta evidente come Malevič, sopprimendo in modo radicale la prospettiva ereditata dal Rinascimento, eliminando quel ponte gettato dalla metafisica e dall’arte tradizionali sopra il «grande abisso», riconosca infine all’Uomo un posto completamente inedito nel movimento universale, e al Suprematismo stesso il valore di una nuova spiritualità del Nulla in cui l’essere impari a divenire esso stesso libertà pura. C’è, nel sistema di pensiero di Malevič, rafforzato fin dal 1919 da un vastissimo corpus di saggi e scritti teorici, un sostrato filosofico, addirittura teologico, da non sottovalutare; i molteplici riferimenti alla potenza creatrice del Nulla e al pensiero senza-oggetto vanno interpretati non come tendenza nichilista, ma come affermazione positiva, nuovo modo di concepire l’esistenza liberandosi dal peso della materialità per raggiungere il campo della sensazione pura. Le influenze del linguaggio trans-mentale che fa del vuoto semantico il soggetto della produzione poetica in virtù anche di un forte significato grafico e fonetico sono espliciti; tuttavia è innegabile che il Suprematismo possieda nei suoi punti salienti delle  affinità stupefacenti con testi induisti e cinesi. Una delle fonti primarie dell’artista russo deve essere certamente quel Tertium Organum di Pёtr Uspenskij (1911) che diventa uno stimolo prezioso per le avanguardie del Novecento e ne influenza l’a-logismo pittorico; una sorta di antologia filosofica (per il numero di citazioni raccolte) e un testo ambizioso, che si pone al di là dell’Organon di Aristotele e del Novum Organum di Francis Bacon descrivendo le leggi a-logiche dell’infinito attraverso l’introduzione di una quarta dimensione (il Tempo), una quinta (l’altezza della coscienza al di sopra del Tempo) e una sesta (la linea «che unisce tutte le coscienze del mondo»). L’immagine del quadrato, riproposta pure in Uspenskij, appare nel Tao Te Ching di Lao Tzu, testo fondamentale del Taoismo: «il Dao (la Via) luminoso è come l’oscurità/ il Dao dell’avanzare è come un arretrare (..)/ il Dao è un grande quadrato senza angoli,/ (…) un grande suono che non può essere inteso, una grande immagine che non ha forma/ (…) il Dao è nascosto e senza nome». Se nel Tertium Organum si legge: «Là (nel mondo oltre la terza dimensione) non c’è né materia, né movimento. (…) Non c’ è nulla che possieda le proprietà dei corpi fisici (…) ogni cosa è il tutto. (…) là l’essere non è opposto al nulla (…) ciò che noi definiamo il nostro mondo è soltanto la nostra rappresentazione inesatta del mondo», in Liezi, I.I. (canone taoista) «Ciò che non nasce è capace di far nascere ciò che nasce; ciò che non si trasforma è capace di far trasformare ciò che si trasforma», e ancora, in 5.1: « il non essere non ha limite; è l’essere che si esaurisce».

Il trionfo del “senza oggetto”, del “Nulla liberato”, abbandonato senza briglie in uno spazio vuoto, corrisponde dunque, in Malevič, ad una ricerca appassionata del Tutto, nella pienezza della sensazione, nella figura di un non-essere infinito e creatore che tuttavia rimane percepibile e non visibile: «l’attore del mondo», scrive in Svet i Cvet [La luce e il colore], si nasconde,  «come se avesse paura di mostrare il proprio volto, paura che l’Uomo gli strappi la sua maschera dalle numerose facce e conosca il suo volto autentico». Un essere non-essere, che risiede in un oscuro vortice caotico e produttivo, senza una forma, senza un nome, senza un volto.

 

 

Uscita nr. 66 del 20/04/2015