:: CULTURA  
  IL MERAVIGLIOSO MONDO DI SIDDHARTHA
Luigi la Gloria
     

 

 

Quando la sapienza Indiana fluisce verso occidente a partire dal XVIII secolo produce un lento ma fondamentale mutamento nel pensiero europeo. Pur tuttavia è soltanto alla fine del XVIIII secolo che il buddhismo giunge alla nostra attenzione grazie alla monumentale opera di traduzione del Canone pāli da parte di Karl Eugen Neumann 1865-1915.
Prima di allora la conoscenza dei libri sacri del buddhismo era riservata ai pochi estimatori del sanscrito, del pāli e delle lingue asiatiche. Ma la mirabile opera di Neumann ci ha consentito di immergerci in quell’immenso mare di conoscenza che è il Buddha-Darma. Schopenhauer diceva.. che il sublime è quella sorta di estremo della bellezza, in cui immediatamente si avverte la negazione del temporaneo e l’affermazione dell’eterno e che costituisce l’essenza della bellezza. Certamente è questa l’impressione che si prova leggendo e meditando i discorsi di Gotama Buddha.
Il luogo dove è collocata la colonna con la grande iscrizione di Ashoka, III secolo a.C., contenente la lapidaria affermazione: qui nacque il Buddha Sakyamuni, si trova nel cuore di uno dei  più grandiosi e solenni paesaggi della terra, assai adatto ad essere stata la culla di colui che insieme pochi altri uomini ha illuminato le coscienze dell’intera umanità. A settentrione si staglia maestosa la più grande catena montuosa della terra: l’Himalaya le cui cime nevose, il Devalagiri,il Gaurisankar, il Kangchenjunga,l’Annapurna si ergono giganteschi tra gli ottomila e i novemila metri, ai piedi dei quali, tra i colli boscosi del Nepal, si trova il luogo di nascita del Buddha. A sud scorre parallelamente per altri duemila kilometri il sacro Gange che, con un ritmo immenso, scorre a versare la sua enorme massa di materiale di disgregazione dell’Himalaya nel gorgo profondo del Mare del Bengala. E nel Gange si versano dall’Himalaya gli altri sacri affluenti e poco lontano scorrono i cinque fiumi vedici, che confluiscono nell’Indo e con esso portano l’acqua delle gelide vette al caldo Oceano indiano, scosso dal grande respiro del monsone. E fruendo del principio buddhista dell’interdipendenza: il monsone porta per la valle del Gange il vapore dell’acqua esalato dal caldo oceano il quale  precipita poi con diluvi di piogge e neve sull’Himalaya e nel sottostante Terai nepalese e qui fa germogliare la rigogliosa vita vegetale e animale della giungla indiana e sulle sparse rovine delle antiche città dove nacque e morì Gotama Buddha.
Questo paesaggio del Terai che Kurt Boek, l’intrepido viaggiatore tedesco che negli anni venti del novecento, fu tra i primi a visitare l’Himalaya, definisce di strabiliante bellezza, che Kipling descrive con parole di straordinaria poesia, sono rimasti come soli baluardi e solenni testimoni della vita e della civiltà dalla quale sorse lo splendido fiore del Buddha.

File: Ancient india.pngEgli stesso descrive la sua terra e la sua famiglia di origine; nel Grande Libro, Sattanipāto. In esso si racconta come Gotama in cammino alla volta della città di Rājagaham, ora Rajgir capitale del Bihar, dopo avervi elemosinato cibo, uscì dalla città, ritirandosi sul monte Corno Grigio. Il re Bimbisāra  che regnò in quella regione  tra il 537 e 485 a.C. vide dal suo palazzo passare un asceta mendicante e, colpito dal suo aspetto e dal suo andare regale, inviò sulle sue tracce alcuni messi che tornarono annunziandogli:- Il mendicante, o gran re, s’è ora fermato al Corno Grigio e riposa come una tigre reale, come un leone innanzi la sua caverna.- Il re fece subito preparare il carro e parti veloce alla volta  della montagna. Quando fu dinnanzi all’asceta si fermò e inchinatosi con riverenza disse:- Così giovane, forte e fresco, nel primo fiore della virilità, di nobile aspetto, di bella figura, tu sembri di nascita un guerriero che risplendere davanti all’esercito, seguito dalle schiere di elefanti. Io ti donerò tesori se mi sarai amico. Dimmi a quale gente appartieni.- Gotama gli indirizza uno sguardo pacato e colmo di dolcezza:- Mio re, nel settentrione, al confinante con il Kosala, vi è una terra che si estende ai piedi dell’Himalaya, essa è forte e ricca. Nacqui nel regno degli Sakaya, e Sakya è il nome della mia famiglia. Il re Suddhodāna, che regna in Kāpilavatthu, è mio padre e mia madre era la regina Māhamaya. Ero principe ereditario ma, scegliendo di diventare un monaco per cercare la Via, sono ormai tre anni che ho lasciato genitori moglie e figlio. 

Nel corso dei secoli intorno alla nascita di Siddhartha, i vari popoli hanno intessuto un velo di leggenda, infatti si narra che la madre lo partorì in piedi appoggiata ad un tronco d’albero di salā, come la madre di Apollo come si legge nell’inno omerico tradotto da Goethe. Così come Apollo, Siddhartha saltò immediatamente al suolo e dopo aver fatto sette passi e aver guardato in tutte le direzioni disse che avrebbe vissuto l’ultima vita e di non riessere più.
La nascita, prosegue la leggenda, come prima la concezione e come poi i grandi avvenimenti spirituali della sua vita, fino alla morte e all’estinzione, fu accompagnata da un incommensurabile splendore, che offuscò non solo i mondi di luce ma anche quelli oscuri dove non c’è sole ne luna, con un fremito che pervase di luce l’universo.
Quando la lieta novella si sparse tra cielo e terra, scese dalle falde dell’Himalaya il vecchio vate Asito il quale prese in braccio il bambino, che splendeva come oro puro nel crogiuolo, e pianse pensando che essendo troppo vecchio, non avrebbe avuto il privilegio di vedere il momento in cui il bambino, diventato uomo, avrebbe, con la sua dottrina, aperto la Via che interrompe il sāmsara, per salvarsi dalla morte e dalla vita.
Sugli anni trascorsi da Gotama nel grandioso paesaggio del Nepal himalayano, prima di darsi alla vita ascetica e le circostanze che lo portarono a quella scelta sono contenute nel Majjhimanihāyo, poche righe, semplici, marmoree sulle quali nel corso dei secoli si è sviluppata tutta la ricca architettura della leggenda romantica di Buddha, che dall’India è poi passata nel Tibet, in Cina, nel Giappone per poi diffondersi nei due emisferi della terra.
Molti tratti di questa leggenda sono pieni di poesia e di pensiero. Così come quello in cui si descrive il principe Siddhartha il futuro Buddha, valente in tutte le arti del nobile guerriero, abile come nessun altro nel tiro con l’arco, in una gara, come l’antico eroe indiano Arjuna e il greco Odisseo, vinse su tutti gli avversari, conquistandosi il diritto a sposare la bellissima Yaśodharā. Dal matrimonio nacque Rāhula che fu salutato con gioia in tutto il regno. La notizia della nascita del figlio gli giunse mentre, sulla sponda del fiume, ascoltava la cugina cantare .- Beato il padre, beata la madre…  La parola beato gli chiamò subito alla mente la beatitudine dell’asceta che rinunzia al mondo. Per il giovane principe quella parola fu una rivelazione e grato alla cugina le regalò una collana di perle. Tempo dopo accade qualcosa  a causa della quale decise di abbandonare il mondo e dedicarsi all’ascesi. Narra la leggenda che Siddhartha,  tenuto dal padre fuori dal mondo reale, tra delizie, giochi e i piaceri che un giovane principe può godere, uscendo un giorno a passeggio sul carro con il suo auriga, incontrò, spettacolo mai visto prima, un vecchio canuto, curvato e appassito. Colpito da quella apparizione chiese all’auriga cosa avesse fatto quell’uomo per essere ridotto in quelle condizioni. Il giovane rispose che era la vecchiezza a causare il decadimento del corpo e aggiunse con tono grave che tutti, nel tempo in prossimità della morte, sarebbero caduti preda di quella sofferenza. In una seconda passeggiata incontrò un infermo che gli presentò un’altra faccia del dolore della vita. In una terza uscita si imbatterono in un funerale che diede luogo ad un dialogo simile a quello tra Amleto ed Orazio al cimitero:- Questo, altezza, è un morto e, come si dice, egli non sarà più visto dalla madre o dal padre e da tutti gli altri suoi parenti ed amici ed anch’egli non vedrà più sua madre o suo padre e gli altri parenti.- - Come.- Rispose il principe.- Anche io sarò soggetto alla morte e non sarò più rivisto dai miei parenti ed anch’io non rivedrò più il re mio padre e la regina e tutti i congiunti?. – Anche tu Altezza e tutti noi siamo soggetti alla morte.
Da allora non trovò più alcuna gioia e non ebbe più pace, se non quando scoprì la Via per mettere fine alla vecchiezza e alla morte, al dolore del mondo, alla nascita da cui deriva la vita ed il dolore. Diventò così un pellegrino alla ricerca del vero bene, investigando per l’incomparabile sentiero della pace si unì ai due più famosi asceti e valenti maestri brāhmani del tempo. Lo guidarono per un cammino spirituale che conduceva alla sfera della non esistenza poi a quella della non coscienza. Ma egli, dopo aver fatto proprio quel massimo sapere, si avvide che nessuna delle due sapienze portava al distacco, al dissolvimento, al risveglio e come egli steso dice:- Mi rimisi in cammino cercando il vero bene , investigando per l’incomparabile sentiero di pace, passai per la terra di Magadhā, di luogo in luogo giunsi nelle vicinanze del borgo di Uruvelā. La io vidi un delizioso pezzo di terra: un sereno fondo boschivo, un limpido fiume corrente e tutt’intorno prati e campi. Ciò basta all’ascesi. Mi sedetti allora laggiù.
Proprio in quel luogo che Gotama iniziò con straordinario zelo tutti gli esercizi ascetici che gli eremiti e penitenti Yoga di quel tempo praticavano. Cominciò cosi la sua esperienza di mortificazioni, penitenze, digiuni prolungati fino quasi a morire. Attratti dal suo immenso fervore si erano raccolti intorno a lui cinque discepoli i quali credevano di aver trovato finalmente il maestro, che aver conquistato con tali sforzi la verità, li avrebbe resi partecipi secondo l’uso brahmanico. Ma Gotama un giorno, essendo rimasto, dopo un estremo digiuno, quasi morto per terra, si accorse che nemmeno quella era la via:- Allora mi venne il pensiero: quel che mai asceti o sacerdoti hanno provato nel passato o proveranno in futuro o provano nel presente, di sensazioni amare, dolorose, cocenti: questo è il massimo, più oltre non si può andare. Eppure con questa amara ascesi di dolore io non raggiungo la sopraterrena, santa dovizia della chiarezza del sapere! Vi è forse un’altra via per il risveglio. Allora mi venne un pensiero. Una volta, durante il lavoro nei campi presso mio padre, sedendo sotto la fresca ombra di un albero di melarosa, assai lontano da desideri, da cose non salutari, immerso in una beata serenità, raggiunsi il grado della prima contemplazione. Sorse allora in me la coscienza che quella era la via per il risveglio.

Giunto a questa consapevolezza decide di abbandonare l’ascesi esteriore, corporale e dedicarsi interamente agli esercizi spirituali. I cinque discepoli credendolo crollato lo abbandonarono. Ma Siddhartha non perde mai di vista il suo scopo persistendo così, fermo, instancabile nella meditazione che lo porta ad ascendere di grado in grado le quattro successive sante contemplazioni; scorge chiara l’unità dell’esistenza universale attraverso le miriadi di forme e dei fenomeni moltiplicatisi nel tempo e nello spazio; percepisce la legge ferrea della morale a cui sono sottoposte tutte le manifestazioni della vita e del mondo. Giunge così, in fine, alla concezione dell’origine e della fine del mondo, dall’origine e della fine della sofferenza che al mondo è fatalmente, inestricabilmente, ineluttabilmente congiunta.

[Siddhartha analizzando il contenuto della via di mezzo, giunge alla formulazione delle Quattro Nobili Verità: sofferenza, l'origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza, la via che porta alla cessazione della sofferenza e dell'Ottuplice Sentiero, ovvero la base del comportamento etico come causa imprescindibile per il conseguimento del Risveglio,.

La prima verità è quella del dolore: l'unione con quel che non si ama è dolore, la separazione da quel che si ama è dolore, il non ottenere ciò che si desidera è dolore. Vivere vuol dire soffrire. Nel corso della vita si sopportano sofferenze fisiche come il dolore, la malattia, vecchiaia, e infine la morte. Si patisce tristezza, paure, frustrazioni, amare delusioni. E benché ci siano vari stadi di sofferenza  e allo stesso tempi gioie ed esperienze positive, la vita, nella sua totalità resta imperfetta ed incompleta, perché il mondo è subordinato all’impermanenza. Questo significa che non si è mai in grado di mantenere permanentemente quello che si possiede o si ama perché, insieme alla  vita, tutto giorno finirà.

L’origine della sofferenza è l’attaccamento alle cose transitorie e l’ignoranza della stessa. Le cose transitorie non sono solo gli oggetti fisici che ci circondano, ma anche idee, e in un certo senso, tutti gli oggetti della nostra percezione. L’ignoranza è la mancanza di comprensione di come la nostra mente è fissata alle cose impermanenti. Le ragioni della sofferenza sono il desiderio, la passione, l’ardore, la ricerca della ricchezza. Poiché gli oggetti del nostri desideri sono transitori, la loro perdita è inevitabile, e così insorge la sofferenza. Oltre agli oggetti di attaccamento anche l’idea di un   è un inganno. L’ego è solo una entità immaginata, e noi siamo solo una parte del incessante divenire dell’universo Questa sarebbe poi stata ampiamente discussa e analizzata dal Buddha nel corso di tutta la sua predicazione, fino a trovare la sua formalizzazione nella paicca samuppāda, in cui ogni causa ha un effetto in una spirale apparentemente invincibile.

La cessazione della sofferenza può essere raggiunta attraverso nirodha. Nirodha è  il disfacimento della brama sensuale e l’attaccamento concettuale. La terza nobile verità esprime l’idea che la fine della sofferenza può essere ottenuta mediante il conseguimento del distacco. Questo significa che la sofferenza può essere superata semplicemente rimuovendo la causa della sofferenza. Il raggiungimento ed il perfezionamento del distacco è un processo composto da molti livelli che in ultima analisi è lo stato di Nirvana. Esso significa libertà da tutte le preoccupazioni, le paure, o qualsiasi forma di idea concettuale, ma rimane incomprensibile per  chi non l’ha raggiunto.
C’è un percorso per la fine della sofferenza, un percorso graduale, che viene descritto più dettagliatamente nell’Ottuplice Sentiero. Esso è la via di mezzo tra i due estremi di un eccesso di auto indulgenza, l’edonismo, e  auto-mortificazione, l’ascetismo, che conduce alla fine del ciclo delle rinascite. Questi sono gli otto punti: retta cognizione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retta meditazione, retto raccoglimento.]

Dunque, riassumendo, la prima verità consiste nel capire la natura reale della vita. La seconda nella comprensione precisa dell’origine della sofferenza. La terza nel comprendere che esiste un modo per estirpare il desiderio. La quarta nel percorrere il sentiero che porta alla comprensione totale che è il Nirvana
Così ai piedi di un albero di pippāla raccolse il suo formidabile potere di concentrazione nell’esame del corpo. Vide così che ogni cellula è come una goccia d’acqua immersa nel fiume infinito della nascita, esistenza e morte, senza riuscire a trovare nel corpo una sola cosa che rimanga immutata o da cui sia lecito dire che costituisca un sé separato. Mescolato al fiume del corpo scorre il fiume delle sensazioni in cui ogni goccia è una sensazione. E anche queste gocce si accavallano in un processo di nascita e di morte. Investigò poi il fiume della percezione, che scorre intrecciato al fiume del corpo e delle sensazioni. Le gocce del fiume delle percezioni si inframischiano influenzandosi luna con l’altra in un identico processo di nascita esistenza e morte. Gli uomini sono preda della sofferenza a causa delle percezioni distorte, essi credono permanete ciò che è impermalente, dotato di un sé ciò che è privo di un sé, soggetto a nascita e morte ciò che non soffre di nascita né morte e dividono ciò che non si può dividere. Scrutò quindi, gli stati mentali che causano sofferenza: ira, odio, arroganza, gelosia, avidità e ignoranza e la consapevolezza divampò in lui come un sole radiante.

Un giorno Siddhartha seduto sotto lo stesso albero osservò una foglia ondeggiare verso di lui come se volesse attirare la sua attenzione. Osservandola in profondità vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle: perché senza sole, senza luce e calore, quella foglia non sarebbe esistita. Anche le nuvole vide nella foglia, perché senza nuvole non c’è pioggia e senza la pioggia, quella foglia non poteva esistere. E vide poi la terra, il tempo, lo spazio, la mente: tutti presenti nella foglia. In verità, in quel preciso momento, l’universo intero si manifestava nella foglia; quella realtà era un miracolo stupefacente. Gotama comprese che la foglia e il suo corpo erano la stessa cosa. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva esistere indipendentemente dal resto dell’universo. Comprese così che la chiave della liberazione si trovava nei principi dell’interdipendenza e del non sé. Se le nuvole non fossero prive di un sé e impermalenti, non potrebbero trasformarsi in pioggia. Senza una natura impermalente un bambino non potrebbe diventare adulto. Quindi, pensò, accettare la vita significava accettare l’impermanenza e l’assenza si un sé. Giunse così alla conclusione che non c’è ne nascita ne morte, ne creazione ne distruzione, ne grande ne piccolo, ne puro ne impuro, solo false distinzioni create dall’intelletto. Dunque nella natura vuota delle cose, le barriere mentali vengono scavalcate e ci si libera del ciclo della sofferenza. Gli occhi della sua mente videro i mondi che nascono e che muoiono, che vengono creati e distrutti. Vedeva l’infinita linea dell’umanità passare attraverso nascite e morti incalcolabili. Vide che le nascite e le morti non sono che apparenze, così come milioni di onde si alzano senza sosta dalla superficie del mare e vi sprofondano, mentre l’oceano è aldilà di nascita e morte. Se le onde potessero comprendere di essere anch’esse acqua, trascenderebbero la vita e la morte e raggiungerebbero la pace interiore superando tutte le paure.
Dopo che Gotama ebbe conquistato il suo nuove sapere sorse in lui il dubbio se fosse meglio tenerlo per se o parteciparlo con altri e dopo una matura riflessione egli, per carità e pietà, decide di condividere con il mondo le verità così eroicamente conquistate. Decise così di far partecipi i primi maestri poi i cinque discepoli che lo avevano abbandonato e che ora soggiornavano presso Varanasi nel bosco della Pietra del Vate. 

In quel luogo Gotama tenne il celebre discorso di Varanasi, in cui insegnò come bisognava tenersi lontano tanto dalla via dei piaceri e del mondo, quanto da quella della dell’ascesi grossolana della mortificazione, entrambe estreme, entrambe dannose e seguire la via di mezzo, solo essa porta all’annientamento del dolore. Intorno a questo primo nucleo crebbe, poco a poco, la schiera dei discepoli e dei seguaci, che gradatamente si estese in tutto in popolo, abbracciando guerrieri, sacerdoti, borghesi, artigiani e contadini. Celebri tra essi sono i nomi di alcuni discepoli: Sāriputta , colui che eguaglia il maestro, Ânando, il conoscitore della parola della dottrina, Kassapa, l’eremita del bosco, Moggallāna, l’oratore della dottrina.
Da Varanasi, la città sacra dell’India Gotama cominciò l’insegnamento che durò quasi mezzo secolo ed ebbe un’eco profonda e lontana attraverso il tempo e lo spazio. Dal gigantesco bastione dell’Himalaya, fino alla pendici dei Vindhyā, dalla città di Varanasi fino all’oceano indiano, durante quarantacinque anni egli percorse il lungo e in largo tutta la bassa valle del Gange, diffondendo la sua dottrina con i suoi mirabili discorsi. In quei quarantacinque anni di pellegrinaggio ed insegnamento, sui monti e nei dintorni delle città e dei villaggi, tra genti straniere o tra i suoi concittadini di Kāpilavattha, la figura di Gotama Buddha appare sempre alta e serena, senza turbamenti ne ombre, dal giorno del risveglio a quello dell’estinzione, egli và, con solenne e sublime monotonia per il camino del sole porgendo il suo sorriso pietoso alla miseria e al dolore della vita.

Approfondimento

Nell’universo buddhista non c’è un dio creatore. Gli dei sono sottoposti al destino e al samsara*, come gli uomini. Il Buddha, in quanto perfettamente illuminato, è superiore agli dei, ma neppure lui può essere paragonato al Dio creatore delle religioni monoteistiche. È difficile anche parlare di un rapporto personale fra il fedele buddhista e il Buddha, paragonabile al rapporto con Dio nelle religioni monoteistiche. La devozione al Buddha passa spesso attraverso i più accessibili bodhisattva, coloro che sono sulla via dell’illuminazione, anche se l’etimologia del termine è controversa. I bodhisattva, che appaiono originariamente in testi sulle precedenti incarnazioni di Gautama Buddha, sono personaggi che hanno fatto voto di rimanere nell’universo per liberare tutte le creature dalla sofferenza, e che sono sulla strada per diventare futuri Buddha. In diverse scuole mahayana** sono previste cerimonie in cui si fa voto di diventare bodhisattva e di iniziare il lunghissimo cammino che, dopo miliardi di anni, potrà portare a diventare un Buddha. I grandi bodhisattva svolgono anche una funzione di protettori delle persone umane, e alcuni sono particolarmente venerati, come Maitreya, che diventerà il prossimo Buddha, e Avalokitesvara, in versione femminile, anche se il genere resta in qualche modo ambiguo, in Cina come Guanyin e in Giappone come Kannon,  in Tibet, Cenresig, prende forma umana attraverso la successione dei Dalai Lama che ne sono la manifestazione.
Alcuni sostengono che il vero principio supremo nel buddhismo sia il dharma ***, il secondo dei tre gioielli insieme allo stesso Buddha e al sangha, o comunità dei credenti. Tuttavia il dharma è anche l’Ente impersonale che regola l’universo piuttosto che il soggetto che sta al centro delle religioni monoteistiche. Sulle fonti del dharma, naturalmente, le scuole si dividono: il buddhismo theravada**** accetta come autorevoli solo i testi più antichi, mentre le scuole mahayana si sono trovate all’origine a dover difendere la loro legittimità spiegando come fosse possibile che testi ritenuti fondamentali emergessero soltanto molti secoli dopo la scomparsa del Buddha. Di qui le leggende secondo cui testi in realtà antichi sarebbero stati miracolosamente scoperti in uno stupa*****, o nelle profondità della Terra dove i primi discepoli li avrebbero sepolti in attesa che i tempi fossero maturi perché venissero alla luce. Al di là delle leggende, l’emergere di testi in un’epoca molto successiva a quella della vita di Gautama Buddha è giustificato dal fatto che il buddhismo dà rilievo alla tradizione e alla trasmissione orale. Questo non significa che le scritture non siano oggetto di grande venerazione. In alcune scuole mahayana la recitazione di versi delle scritture, o la venerazione dei supporti fisici che le contengono, è considerata efficace di per sé, quasi a prescindere dal loro contenuto informativo e dottrinale.
Il terzo gioiello è il sangha, parola che originariamente designava la comunità monastica maschile e femminile, ma che si è estesa fino a indicare il popolo dei credenti o praticanti nel suo insieme. L’atto fondante con cui un uomo o una donna entrano a fare parte della comunità è il cosiddetto prendere rifugio, che in alcune tradizioni presuppone una precisa cerimonia alla presenza di un lama o di un monaco. Si tratta, in effetti, di un impegno preso personalmente nei confronti dei Tre Gioielli, il Buddha, il dharma e il sangha che è esplicitato di fronte alla comunità dei praticanti. I voti sono importanti nella vita del buddhista in genere, e aiutano ad acquisire meriti tramite buone azioni compiute con piena consapevolezza. Il sistema di voti è formalizzato per i monaci, sia itineranti, sia che vivono in monasteri. La vita monastica assume una grande varietà di forme nel mondo buddhista, e, attraverso numerose traversie storiche, rimane ancora oggi al centro di molte comunità. O, almeno,  questo è vero per il monachesimo maschile, mentre quello femminile si è ridotto fino quasi a sparire, e mantiene un’importanza centrale quasi solo nel buddhismo cinese. Tra i voti dei laici, particolare importanza assumono nel mondo mahayana quelli che avviano a diventare bodhisattva, e che si configurano come iniziazioni. A questi, particolarmente nelle scuole vajrayana, si affiancano iniziazioni di tipo tantrico. Alcune di queste, praticate generalmente in modo simbolico,  implicano l’unione rituale con una persona dell’altro sesso, e un’ampia discussione si è sviluppata, particolarmente in Tibet, se queste pratiche debbano essere aperte ai monaci, in linea di principio votati al celibato.
 Il buddhismo include regole etiche, riassunte nel trinomio retta parola, retta azione e retta condotta di vita. Nella pratica l’etica buddhista, qualunque sia la tradizione di appartenenza, si fonda sui cosiddetti cinque precetti , panca sila, accompagnati da cinque atti propositivi, panca dharma, : non uccidere esseri viventi e proteggere la vita in tutte le sua forme; non rubare e prendere solo ciò che si è onestamente guadagnato; non dire menzogne ma utilizzare la parola in modo misurato e sincero; non commettere atti sessuali illeciti, sostenere la fedeltà nei rapporti, non assumere sostanze intossicanti, droghe, alcol e medicine usate in modo non accorto e lasciare la mente sgombra e attenta. Il buddhismo non ha propriamente espressioni di culto della divinità, nel senso giudeo-cristiano del termine, ma piuttosto sessioni di meditazione in cui i partecipanti, silenziosi, sono guidati nella pratica da maestri, spesso monaci. Queste sessioni hanno un valore tanto spirituale, di ricerca del divino insito in se stessi e nella propria coscienza, quanto psicologico, di conseguimento della calma e della serenità. Non mancano, naturalmente, riunioni per l’insegnamento della dottrina e cerimonie, particolarmente nel mondo mahayana, caratterizzate dall’offerta simbolica di fiori e incenso, con canti e preghiere, iniziazioni che prevedono l’entrata dell’adepto in una determinata pratica. Mancano cerimonie assimilabili ai sacramenti cristiani, a eccezione, da un certo punto di vista, delle ordinazioni di monaci e delle iniziazioni in cui un maestro abilita un discepolo a ricevere gli insegnamenti più avanzati.
Una curiosità: negli anni sessanta molte coppie che aderivano ai vari movimenti new age si sposavano con un presunto rito buddhista, in realtà, non esiste propriamente un matrimonio buddhista, cioè un’unione matrimoniale tra un uomo e una donna con valore religioso. Per il praticante buddhista, il matrimonio è un impegno reciproco di amore, rispetto e attenzione amorevole ai bisogni dell’altro fondato esclusivamente sull’etica.

*    Sāmsara:   Ciclo della vita, l'oceano dell'esistenza. Rappresentato anche come una ruota.

** Mahayana: la scuola Mahayana, che sostituì la lingua Pali con il Sanscrito, costituisce lo sviluppo del Buddismo in senso filosofico, mistico e gnostico. Essa riconosce un gran numero di divinità, fra le quali annovera lo stesso Buddha. 
Anzi, Siddartha Gotama non sarebbe che uno dei Buddha: ne esisterebbero altre centinaia, sovrani del paradiso, del futuro, del mondo ecc. Concezione, questa, che permetterà al Buddismo di assimilare facilmente altre religioni.
Oltre ai Buddha vi sono i santi, cioè coloro che, pur avendo acquistato il diritto d'immergersi nel Nirvana, hanno deciso di restare ancora un po' di tempo sulla terra per salvare gli uomini. I mahayanisti, a differenza degli hinayanisti, credono anche negli spiriti maligni e in altri esseri soprannaturali, nonché nella differenza tra paradiso e inferno, e negano l'esistenza dei dharma come entità a se stanti. Nel paradiso si trovano le anime dei giusti, anche laici, che devono incarnarsi ancora una volta sulla terra prima di raggiungere il Nirvana. Questa corrente, che praticamente non ha nulla del Buddismo originario, che, nonostante tutto, era rimasto un movimento elitario, si è diffusa tra il II e il X sec. nell'Asia centrale, nel Tibet, in Cina, Vietnam, Corea e Giappone, Mongolia e Nepal.

*** Dharma: indica gli insegnamenti del Buddha. La pratica di tali insegnamenti ovvero, la via verso l'Illuminazione, rappresenta il Buddhismo stesso.

**** Theravada: buddhismo theravada, la scuola degli anziani, è una delle prime scuole nate dall'insegnamento di Gotama Sakyamuni, il Buddha storico. Di natura prettamente monastica e ascetica, fa riferimento al cosiddetto Canone Pāli quale testo dottrinale fondamentale. Il nome dello stesso canone si riferisce all'antica lingua indiana pāli, strettamente imparentata al sanscrito, ritenuta una delle lingue in cui il Buddha Sakyamuni espresse il suo insegnamento orale. Il buddhismo theravada è anche conosciuto con il nome di hinayana, o "piccolo veicolo", ma tale denominazione oggi è desueta e criticata dagli studiosi. Il buddhismo theravada è oggi la forma di buddhismo prevalente nello Sri Lanka, Birmania, Thailandia, Laos e Cambogia. La parola thera in pāli significa vecchio, autorevole.  La parola sanscrita sthavira vuol dire la stessa cosa. Per questa ragione gli adepti venivano anche chiamati sthaviravadi. Indica la dottrina dei monaci anziani e venerandi, quelli che più s'avvicinano al Buddha, che più di tutti rifuggono da ogni innovazione di tipo teorico.  Erano, insomma, i più conservatori. Ancora oggi i theravadin asseriscono che la loro ideologia sia proprio quella enunciata dal Sublime e a più riprese si sono eretti come paladini contro ogni tipo di eresia. Il Kathavattu è l'opera che dovrebbe contenere l'insegnamento puro del maestro. Il maestro da loro ritenuto il più autorevole è Buddhaghosha, che fu un prolifico scrittore. Il buddhismo Theravada si rifà fondamentalmente ai testi in genere ritenuti più arcaici nella loro elaborazione, raccolti nel Canone Theravada compilato nella lingua pāli e detto pertanto anche "Canone Pali".Il pali è simile al più noto e aristocratico sanscrito, ma di levatura volgare rispetto a quest'ultimo. Il Canone Pali è tradizionalmente ritenuto contenere brani dell'originale predicazione del Buddha, sebbene siano innegabili elementi aggiunti in epoca tarda, manipolazioni e vari elementi fantastici e agiografici difficilmente databili ma con ogni probabilità successivi di secoli rispetto alla base degli insegnamenti originali. La predicazione del Buddha e le sue vicende terrene furono per secoli tramandate oralmente, di volta in volta convocate riunioni dei monaci in cosiddetti concili per determinarne la forma e il contenuto originale, depurandolo da quanto si riteneva introdotto successivamente, finché, circa nell'anno 80 a.C., furono per la prima volta messe per iscritto nella prima redazione del Canone nell'isola di Sri Lanka. Questa redazione originale è purtroppo andata persa, il Canone Pali ci è tuttavia giunto integro, a meno di successive edizioni e revisioni difficili da identificare, tramite le successive copie che ne furono fatte nei monasteri cingalesi ed esportazioni e traduzioni compiute in altri paesi dell'area.

 

***** Stupa: è un monumento buddhista, originario del subcontinente indiano, la cui funzione principale è quella di           conservare reliquie

 

 

Bibliografia:

La letteratura sul buddhismo in lingua italiana è ormai molto vasta. Si potrà partire da Henri-Charles Puech, Storia del Buddhismo, trad. it., Laterza, Bari-Roma 1984; Walpola Rahula, L’insegnamento del Buddha, Paramita, Roma 1994  utili opere introduttive sono quelle di Stephen Batchelor, Il risveglio dell’Occidente. L’incontro del Buddhismo con la cultura europea, trad. it., Ubaldini, Roma 1995; Buddhismo senza fede, ( consigliato ) trad. it., Neri Pozza, Vicenza 1998. Sull’espansione nel mondo e in particolare in Occidente cfr. Mario Bergonzi, “Il Buddhismo in Occidente”, in H.-C. Puech (a cura di), op. cit., pp. 305-396; Martin Baumann, “Il Buddhismo in Occidente”, in Giovanni Filoramo (a cura di), Storia delle religioni. 4. Religioni dell’India e dell’Estremo Oriente, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 483-497; James William Coleman, The New Buddhism. The Western Transformation of an Ancient Tradition , Oxford University Press, New York 2001; Charles S. Prebish - Martin Baumann (a cura di), Westward Dharma. Buddhism Beyond Asia, University of California Press, Berkeley - Los Angeles - Londra 2002; Linda Learman (a cura di), Buddhist Missionaries in the Era of Globalization, University of Hawaii Press, Honolulu 2005. Sull’Italia cfr. Costanzo Fiore - Maria Angela Falà, Ricerca sulla presenza buddhista in Italia, RES, Roma 1993; Giampiero Comolli, Buddisti d’Italia. Viaggio tra i nuovi movimenti spirituali, Theoria, Roma 1995.

 

Uscita nr. 62 del 20/10/2014