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In una società reticolare, continuamente in movimento, determinata da milioni di individualità diverse, la cultura, quella considerata “alta”, deve continuare ad essere elemento fondante della memoria collettiva del genere umano. Nel mondo i poli di potere sono cambiati. I governi nazionali sono entrati in crisi, controllano a fatica i nodi attraverso i quali passano informazioni e capitali. Le prime sono nelle mani dei colossi della tecnologia e del web, da Apple a Google, i secondi vengono gestiti dai grandi gruppi finanziari, banche e società di rating. In un contesto simile, i governi debbono mirare ad una presenza costante in questo tessuto digitale dove viaggiano soldi e informazioni e, contemporaneamente, devono rimanere fedeli alla loro missione: quella di difendere prima della ricchezza di un popolo la sua libertà e la sua storia. Essenziale è una connessione rapida e capillare alla rete. Per riuscire in questo intento è fondamentale investire nella ricerca e nel territorio, perché lasciare indietro una regione o una città significa condannare la popolazione all’isolamento e al decadimento economico. Per avanzare quindi non basta ragionare in termini globali e macroeconomici. Esaltare le caratteristiche locali e comunicarle sapientemente al mondo, produce ricchezza e permette la sopravvivenza di tradizioni e cultura. Non deve apparire insanabile l’opposizione tra locale e globale e impossibile la sinergia tra queste due entità. Infatti è proprio in una società ramificata come quella attuale, capace di accogliere persone da ogni parte del mondo, che l’individualità ha un impatto senza precedenti sulla collettività. La memoria storica e l’immaginario umano, insieme dei valori e della aspirazioni della popolazione mondiale, un tempo erano conservati e determinati da istituzioni statali e culturali. Oggi sono costantemente modificati dai contributi che gli individui inseriscono nel tessuto digitale e proprio per questo appartengono più che ad una nazione o ad un popolo all’umanità tutta. Non comprendere appieno il dinamismo che si instaura tra uno e molti, non vedere le possibilità che da questa rivoluzione culturale si aprono di fronte ai popoli della terra, ha come conseguenza l’esaltazione di sistemi di pensiero che traggono la loro forza più da un sentimento di avversione verso l’altro che da basi culturali e storiche. Gli esempi sono molteplici, dai meno pericolosi, come in Italia l’esaltazione del falso storico della Padania, ai più tremendi, quali i fanatismi religiosi da cui scaturiscono atti di violenza tristemente noti.
Il diverso, l’altro, non è mai stato sotto i nostri occhi come oggi. Se la paura governa i nostri animi sarà inevitabile perdere noi stessi nella rete e lasciare ai nuovi potenti della terra e a quei politici che sfruttano sentimenti di avversione e smarrimento i benefici derivanti da un approccio costruttivo e consapevole alle nuove tecnologie, vere armi di buoni e cattivi in questo multiforme presente. Per scacciare la paura è fondamentale conservare la cultura umana partendo innanzi tutto dalle realtà nazionali e comunicarla sapientemente alla comunità.
In Italia la cultura non è solo elemento fondante della memoria storica e base dei valori popolari, ma un’arma potente per il rilancio dell’economia. Quanto meno così dovrebbe essere per la nazione che detiene il 50/60% del patrimonio culturale mondiale. Avete letto bene. Più della metà del cultural heritage (patrimonio culturale, n.d.r.) globale è contenuto nello “Stivale”. Le istituzioni culturali nostrane sono ovviamente consapevoli della quantità e della qualità del nostro patrimonio, ma sono limitate da ostacoli di varia natura. Per comunicare la cultura, permettere che questa sia condivisa dal popolo e che resti il collante sociale tra i singoli individui, è necessario conoscere e accettare la nuova struttura globale. Bisogna immergersi nella rete. Solo così è possibile conservare l’heritage e contemporaneamente trovare gli strumenti e i fondi per resistere agli effetti alienanti e antistorici di un uso dissennato e incontrollato del web. Le istituzioni culturali, musei, università, fondazioni, devono assolvere dunque alla funzione di mediatore culturale: mediare tra individuo moderno e memoria storica. Un primo elemento frenante tale missione è l’idea diffusa negli ambienti intellettuali che un’istituzione, per conservare la propria autorevolezza, debba evitare di confondersi nel tessuto digitale.
In realtà ci sono molti modi per giovare dei benefici di internet e difendersi dai suoi pericoli. Un sito web ben curato e aperto ad una collaborazione costruttiva con il pubblico permette di presentare il patrimonio culturale conservato in un determinato luogo a un numero potenzialmente infinito di visitatori virtuali. Aumentando la visibilità, aumenta anche l’effetto benefico e formativo della cultura e un’istituzione culturale può essere il filtro capace di moderare gli interventi e i contributi degli internauti. Tutto questo è possibile solo se a monte, in fase di progettazione comunicativa, le figure professionali coinvolte sono diverse. Dall’umanista, esperto del patrimonio culturale da conservare e condividere, al webmaster capace di gestire il portale web. La collaborazione, vero tesoro nascosto nella rete, è inizio e fine di qualsiasi iniziativa volta a irradiare nel mondo la cultura e capace di conservare la memoria storica di una comunità.
Un altro ostacolo per le istituzioni culturali nel nostro Paese è rappresentato dalla mancanza di fondi. Le classi dirigenti in Italia sono convinte che la cultura non possa generare benefici economici, celebre è la frase dell’ex ministro dell’economia Tremonti: “con la cultura non si mangia”. Questo atteggiamento è confermato dal costante calo di investimenti nell’ambito della ricerca che caratterizza le politiche economiche degli ultimi anni. Le conseguenze sono molto gravi. In un Paese che non riesce a restare al passo con il resto del mondo per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche, non investire nella ricerca significa aumentare questo ritardo e tagliare fuori dal mondo intere parti di territorio. Inoltre il fenomeno della “fuga dei cervelli” priva l’Italia delle sue menti migliori e rende ancora più complicato un avanzamento a livello economico, sociale e politico.
La cultura è il punto di partenza per qualsiasi tipo di ricerca, scientifica o umanistica. Nel Bel Paese è anche la risorsa più abbondante per far girare l’economia. Intorno ad essa è possibile costruire un circolo virtuoso di ricchezza in grado di permettere: a) una volta avviate strategie di marketing, l’autofinanziamento delle singole istituzioni; b) lo sviluppo del territorio nelle zone limitrofe ai bene conservati c) l’inserimento delle istituzioni nella filiera turistica. Per avviare questo meccanismo sono necessari investimenti che certamente vale la pena di attuare. Se la gestione dell’istituzione culturale è caratterizzata da una mancanza di pregiudizi nei confronti delle possibilità di spettacolarizzazione della cultura, il suo successo quale volano dell’economia sarà garantito. Spettacolarizzare non vuol dire svendere o mercificare in modo dissennato. Significa sfruttare le innovazioni in ambito grafico, mediologico e virtuale per riportare la cultura “alta” nella vita della gente, narrare la storia con la S maiuscola in modo accattivante senza lasciarla in mani inesperte o pericolose, portare anche chi non può spostarsi da casa all’interno dei musei, dei siti archeologici, facendogli vivere esperienze conoscitive d’alto livello attraverso uno schermo. Ovviamente ci sono anche benefici economici tangibili e questo non è un male. Rifiutare la possibilità di guadagnare denaro con la cultura significa anche non averne per la cultura. Vendere gadget, stampe di opere d’arte, costruire ristoranti e bar all’interno di un museo che diventino di per sé luoghi di aggregazione e usare la rete per far conoscere e commercializzare tali prodotti è un modo intelligente per raccogliere fondi. Tutte queste iniziative devono avvenire sotto il controllo dell’istituzione culturale che le promuove. In questo modo, se la gestione è competente e costruttiva, il valore assoluto dell’arte, della storia, della cultura in generale sarà salvo e potrà continuare ad essere fondamento dell’immaginario collettivo del popolo italiano.
Nel mondo, soprattutto in ambito anglosassone, le istituzioni culturali hanno da tempo avviato un processo di rinnovamento che le ha portate ad essere attori protagonisti del mondo digitale. In Inghilterra il British Museum non si è accontentato di vivere della fama acquisita durante i suoi molti anni di storia. Il sito museale è un vero gioiello. L’elemento più interessante è rappresentato dai tour virtuali che l’internauta può compiere. Attraverso il computer si entra in tombe egizie piene di tesori, dove i singoli reperti proprietà del museo sono riposti nel loro luogo d’origine e descritti da didascalie chiare per qualsiasi lettore, non solo per i più esperti. Negli Stati Uniti il Brooklyn Museum, istituzione relativamente giovane e sorta in una città come New York dove l’offerta culturale è di altissimo livello, si è imposto all’attenzione del grande pubblico grazie ad una sapiente strategia di comunicazione e alla sua presenza nella rete. Per fidelizzare un pubblico vasto ha dato il via ad un’iniziativa utile e divertente. Dopo aver formato una community interna al sito web ha chiesto ai visitatori di taggare le opere presenti nel museo, dando un punteggio a seconda della validità dell’informazione o del commento lasciato dall’utente. In questo modo sono state raccolte curiosità interessanti sul patrimonio ed è stato costituito un bacino sicuro di visitatori virtuali e reali. In Australia il Powerhouse Museum ha ospitato una mostra dal titolo “The 80s are back”. Il concept era quello di esplorare la cultura e l’immaginario di un periodo mitico per la società occidentale. I curatori dell’evento, iniziato nel 2009, hanno chiesto agli internauti di inviare tramite i social network materiale digitale (video, immagini, canzoni etc.) che ricordasse loro gli anni ‘80. Il risultato è stato talmente positivo che sono continuati ad arrivare contributi anche dopo la fine della mostra e il gruppo di lavoro del museo che se ne occupava ha continuato la sua attività fino al 2011.
Questi sono solo alcuni esempi di un utilizzo mirato e produttivo della rete da parte delle istituzioni culturali. La paura per una novità tanto incisiva nella vita quotidiana e la presenza di problemi reali causati da chi usa il web per diffondere falsità e guadagnare grazie all’ignoranza della gente, non possono impedire a chi dovrebbe difendere il valore della cultura e della verità di sfruttare le nuove tecnologie per il meglio. Una mediazione oculata da parte delle istituzioni culturali permetterà ai prosumer (producer/consumer) che frequentano la rete e che in ogni momento producono e consumano materiale estetico di partecipare in modo positivo alla conservazione e comunicazione della memoria collettiva. Gli intellettuali continueranno ad essere guide indispensabili dell’umanità, ma si confronteranno con una popolazione più collaborativa e consapevole.
In conclusione, nonostante il mondo stia cambiando appare ancora valido l’antico detto “l’unione fa la forza”. Intellettuali e prosumer, cosa state aspettando?
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