:: CULTURA | ||
QUANDO SATANA PERSE IL PARADISO Piera Melone |
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Milton, che si ritiene, nel suo “uso della mano destra” (la sinistra, come egli stesso afferma, è destinata a redigere pamphlets), “ispirato da Dio”, ci consegna un poema che effettivamente risplende di ispirazione divina, eppure a stagliarsi nelle coscienze del lettore rimane la figura indomita di un Satana eroico nel suo peccare, profondo nel suo lutto, sublime nel rimpianto della bellezza di cui non può più godere. Per un soggetto come Milton, antitrinitarista, antipapista, sostenitore dichiarato del tirannicidio, strenuo difensore, a quei tempi, della libertà di stampa e della legittimità del divorzio, questa non deve sembrare la peggiore delle contraddizioni. Sin dai primi versi ci si spalanca un abisso di solitudine, esilio, erranza, tormento: Satana, colui che era “convinto di poter uguagliare l’Altissimo”, ricacciato insieme alle sue schiere in un golfo di fuoco, travolto e sconfitto, osserva la voragine fiammeggiante, buia e inquietante “ove riposo e pace non si troveranno, né mai quella speranza che ogni cosa penetra”. Dai suoi sguardi funesti, dall’afflizione e dallo sgomento, commisti ad odio tenace e “inflessibile orgoglio”, inizia l’inferno, dimensione interiore e non-spaziale (perché angosciosamente onnipresente e totalizzante) che si impone con forza sull’Inferno come universo fisico. Satana è l’opposto e la mancanza e il suo eroismo tragico si esprime proprio nella sofferente consapevolezza della perdita, nella percezione dolorosa della bellezza e della gioia come privazione e nella reazione maestosa, nel vitalismo, nella “disperazione” alla quale, inevitabilmente, rispondono “alto sdegno” e “mente ferma”. Continuo e coerente nel suo odio verso Dio e il Paradiso, immutabile pure nella sua volontà, egli è, tuttavia, la metamorfosi e il doppio per eccellenza. I linguaggi dell’epica, della tragedia, del dramma barocco si sovrappongono producendo lo sdoppiamento del personaggio stesso che diventa eroe ed antagonista della medesima odissea. Satana è il grande condottiero sconfitto che non si rassegna alla disfatta nei primi due libri, è l’angelo malinconico e luttuoso nel libro IV, è subdolo tentatore, eterna metamorfosi (anche fisica: lupo, cormorano, rospo, serpente) e parola contorta come le spire del serpente, è il consigliere fraudolento del libro IX ed è il diavolo, che nel suo processo di (seconda) caduta oramai irrevocabile, porta a termine la sua impresa, invia Colpa e Morte sulla Terra, affonda nel male e diventa bestiale, avvicinandosi al personaggio dell’allegoresi medievale. Questa è la forza della “poetica dell’ambiguità” miltoniana, nella componente poliedrica che ha permesso a questo Satana di giungere fino a noi, perché il suo sguardo è proiezione di un desiderio senza limiti, il suo agire è eternamente fallibile, il suo volo destinato a schiantarsi ma generato da un’aspirazione alla bellezza e alla divinità che contraddicono l’essenza stessa del personaggio, il cui Paradiso è andato perduto tanto quanto il nostro; ed è un demone a riferircelo, parlandoci con il registro dell’uomo decaduto. Satana è in errore, questo il lettore lo sa; ma il suo tentativo di persuadere va a buon fine. La felicità della parola poetica si libera dall’infelicità del concetto teologico e, quando smette di parlare o di pensare, già siamo stati sorpresi dalla colpa e ci accorgiamo di essere stati ingannati, completamente o in parte. Solo così questo Satana, sfuggente, sottile, tortuoso tanto quanto il suo autore, può andare al di là della figura antico testamentaria. Egli è troppo complesso per essere solo malvagio, troppo diviso per essere una cosa sola. Satana è Ulisse e insieme Achille ed Enea, nel suo viaggio solitario oltre le porte dell’Inferno; è Tancredi, nella follia d’amore che provoca morte; è Solimano, nella rappresentazione tragica della maestà sconfitta; è Prometeo, nella sua sfida folle e titanica contro l’Onnipotente; è Macbeth e Amleto, nella teatralizzazione dell’io, è Doctor Faustus nella scissione. Ricettacolo di tutte le incongruenze del poema, egli è tutto questo assieme (e molto altro ancora) e proprio per tale ragione si risolve al nostro sguardo come un’entità profondamente reale e al contempo inafferrabile, complessa, ambigua fino in fondo. Ed è l’ambiguità a farne, innanzi tutto, un’essenza divisa, lacerata, contraddittoria e di conseguenza, elaborata e profonda più di ogni altro personaggio del Paradise Lost. |
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Uscita nr. 37 del 20/09/2012 |