:: CULTURA  
  IL GUSTO DELL'ORRIDO DA SENECA A TARANTINO
Cesare Granati
     
 

Descrizione: 220px-Seneca.jpgNell’opera di Seneca (4 d.C.-65 d.C) drammaturgo è evidente il gusto dell’orrido. Sono giunte a noi dieci tragedie sotto il nome di Seneca, di queste però l’”Octavia” (che vede tra i personaggi Seneca stesso) sicuramente non è stata scritta dall’autore, originario di Cordova, e l’”Hercules Oetaeus” è di dubbia origine. Il filosofo stoico per eccellenza quando scriveva una tragedia metteva in scena il vizio e il peccato che condannava nelle sue opere morali, i dialoghi e le celebri lettere a Lucilio. Nelle tragedie la virtù, il bene, la giustizia vengono irrisi e calpestati, ogni forma di ragione smarrita, ogni legge umana e divina infranta. Non c’è orrore, sevizia, mutilazione o crimine di sangue che non venga illustrato con agghiacciante compiacimento. Le atmosfere sono tetre, i luoghi dove si svolge la scena sono spazi sotterranei, prigioni fisiche e spirituali che preannunciano  la discesa all’inferno dei personaggi.

Un altro autore classico s’ispirò al lavoro di Seneca. Lucano (39 d.C.-65 d.C.) nel suo “de Bellum civile”, narrando la guerra tra Cesare e Pompeo, descrisse con veemenza la morte e il sangue sparso sul campo di battaglia. Un altro aspetto che accomuna questi due autori, se pur in opere di stampo differente, è la presenza di personaggi controversi e portatori di mali insolubili. Se nella tragedia senechea i personaggi sono ispirati a quelli del dramma greco che non dava una lezione morale rispondendo alle paure umane ma le mostrava senza chiudere il senso, lasciando allo spettatore il giudizio morale, sconvolgendo più che spiegare, usando il coro non per chiarire ma per confondere, quelli del “de Bellum civile” di Lucano sono decisamente innovativi per il genere epico. “Pharsalia”, titolo con il quale è spesso citato il poema per via del famoso verso Pharsalia nostra vivet, presenta i due personaggi principali, Cesare e Pompeo, come due uomini profondamente imperfetti. Cesare è il tiranno senza scrupoli che vuole schiacciare la democrazia aristocratica romana, Pompeo è l’ombra di se stesso, l’immagine di un vecchio combattente chiamato a un compito troppo arduo da portare a termine. Lucano però ha un paladino, Catone, integerrimo protettore della repubblica, che si toglierà la vita dopo la vittoria del tiranno. Non sappiamo se l’opera finisse con questo episodio o con la morte di Cesare alle idi di marzo, nel 44 a.C., due anni dopo il suicidio dell’Uticense. In questa sede ci interessa la difficile interpretazione dei due personaggi principali e l’uso dell’orrido per esemplificare la mostruosità della guerra tra concittadini e il decadimento dei costumi, dei mores maiorum tanto cari ai latini.
Un altro poema della tradizione classica è caratterizzato da scene troppo violente, le “Tebaidi” di Stazio, poeta vissuto nell’era dei Flavi. L’opera fu pubblicata nel 92 d.C.. L’influenza di Lucano è evidente per l’attenzione in questo poema epico ai particolari orripilanti e per la presenza di eventi sovrannaturali per anticipare terribili sventure. La dimensione di dodici libri è quella tipica del poema epico e lo stile è ispirato alla più nobile tradizione latina, cioè all’immortale opera di Virgilio.

Grazie agli studi sulla didattica sappiamo che tra il ‘500 e il ‘700 in Inghilterra lo studio di questi testi era assai diffuso, anzi, la lettura di queste opere era considerata fondamentale per la formazione di un uomo di cultura. L’amore per il periodo classico dei giovani di buona famiglia inglesi è dimostrato dai Grand Tour in Italia, tappa fondamentale per tutti coloro che desideravano conoscere le arti e iniziare una carriera letteraria. A noi interessa analizzare le analogie tra le opere classiche sopracitate e lo sviluppo prima del teatro elisabettiano, poi del romanzo gotico settecentesco, fonte infinita di ispirazione per la tradizione letteraria, teatrale e cinematografica successiva, tanto che è possibile riscontrare elementi comuni anche nel noir americano, nella letteratura pulp ad esso contemporanea e in alcune opere cinematografiche dei nostri giorni.

Il dramma elisabettiano è caratterizzato da personaggi controversi, affetti da mali esistenziali che li portano inevitabilmente alla rovina. Il Faust di Marlow (1564-1593) e il Macbeth di Shakespeare (1564-1616) sono due personaggi rielaborati in modi diversi e da molti autori. Il patto con il diavolo e la sete di potere divorano i loro animi e nell’evoluzione del romanzo gotico, da metà settecento ai primi anni del secolo successivo, i villans (i cattivi) hanno sempre più ricalcato questo vortice diabolico, senza scampo e senza possibilità di salvezza. Nell’opera di Matthew Lewis (1775-1818), autore del celeberrimo “The Monk”, il villan, il monaco Ambrosio, combatte contro i suoi impulsi diabolici senza però riuscire a salvarsi. L’esame profondo dell’animo non porta a una redenzione ma alla consapevolezza della parte malefica del proprio io.
Descrizione: 200px-Matthew_Gregory_Lewis_by_Henry_William_Pickersgill.jpgLewis è famoso per aver introdotto il gusto dell’orrido nel gotico. Mentre autori precedenti come Horace Walpole e Ann Radcliffe usavano il terrore per spaventare il loro pubblico, creando atmosfere buie e riconducibili al gusto del sublime, tipico di gran parte della produzione artistica dell’epoca, Lewis per suscitare paura nel lettore preferì sconvolgerlo con scene di puro sadismo e per questo sarà ammirato dal Marchese de Sade. Nell’opera di Shakespeare (per esempio l’”Amleto”) è evidente un gusto macabro per la spettacolarità della morte e oltre che all’opera del Bardo, Lewis s’ispirò certamente al folklore tedesco, dove le favole, se pur scritte per istruire i più piccoli, avevano sviluppi spaventosi anche per gli adulti. L’opera di Seneca drammaturgo e di Lucano, concentrate su particolari orripilanti e apparizioni profetiche, sono evidentemente fonte d’ispirazione per tutti questi autori. Tali elementi letterari saranno ripresi dalla tradizione teatrale ottocentesca che metterà in scena drammi ispirati alla letteratura gotica, facendo largo uso di effetti speciali, per dare corpo all’orrido letterario.

Nel novecento lo studio dell’io e la consapevolezza dell’animo umano, come portatore di bene e male, daranno vita ad una serie di prodotti artistici tra loro legati e dipendenti l’uni dagli altri. Negli anni ‘30 del XX secolo in America nascono molte riviste dette pulp-magazine. Il termine dispregiativo pulp (poltiglia), che indica la bassa qualità della rivista, non deve ingannare. Comparirono alcuni dei racconti meglio riusciti della letteratura statunitense del secolo scorso che saranno di ispirazione per cineasti e scrittori di tutte le epoche successive. Tipico di questi racconti era un linguaggio il più possibile realistico per descrivere scene ai limiti della realtà, vicende di disumana violenza, storie di uomini affascinati dal male e pericolose femme fatales. Un linguaggio realistico per descrivere l’irreale, l’onirico, personaggi combattuti tra bene e male, donne vampiro, sono elementi propri del romanzo gotico e della letteratura ad esso collegata.
L’esame dell’io in letteratura nasce grazie a Seneca. Infatti nelle sue lettere morali non solo offre un insegnamento al suo interlocutore ma scopre anche le proprie debolezze. La letteratura epistolare sarà un mezzo importante per capire il proprio io, oppure, creando personaggi scriventi, per dare vita a protagonisti profondi da un punto di vista umano. Diventando un vero e proprio genere narrativo, il giudizio morale sarà lasciato al lettore, mentre chi scrive potrà solo indicarlo attraverso la narrazione o addirittura rifiutarlo completamente.
Il passaggio successivo è la narrazione in prima persona, grazie alla quale il protagonista si rivolge direttamente al pubblico senza la creazione di un destinatario immaginario. Il racconto in prima persona pone autore, personaggio e lettore sullo stesso piano. Un giudizio morale univoco non è possibile, il coinvolgimento è totale, le ansie e le paure del protagonista diventano quelle del lettore e le nefandezze compiute nel romanzo, dal protagonista stesso, l’affascinante seduzione del male, per qualche ora sconvolge anche la vita del lettore, chiunque egli sia.
Nel romanzo gotico, che giunge al suo apice con il “Frankenstein” (1818) di Mary Shelley, l’attenzione degli scrittori si focalizzerà sempre più sul villan, sui suoi tormenti senza fine, e nel romanzo della grande autrice il genere epistolare e il racconto in prima persona si alternano raggiungendo così un grado di suspense straordinario, prova del primato letterario dell’opera.
Descrizione: 220px-Double_indemnity.jpgL’analisi del proprio io, la natura controversa dell’animo umano e la scrittura in prima persona, una sorta di confessione successiva agli eventi narrati, sono propri di uno dei racconti più sconvolgenti della storia della letteratura made in USA. Si narra che quando Billy Wilder, leggendario regista hollywoodiano, lesse il racconto di James M. Cain (1892-1977) lo abbia fatto in appena 58 minuti nonostante la rivista che lo aveva pubblicato indicasse un tempo di lettura di quasi 3 ore. Quel racconto, o meglio romanzo, s’intitolava “La morte paga doppio”  (“Double indemnity”). Era il 1943, l’era del noir americano. Il film che nacque da questo sodalizio artistico, sceneggiato da un altro magnifico e tormentato autore come Raymond Chandler, in inglese mantenne il titolo originale, mentre nella versione italiana fu intitolato “La fiamma del peccato”. La narrazione in prima persona porta il lettore a vivere le passioni del protagonista, un uomo qualunque la cui vita sarà sconvolta da una femme fatale. Un uomo che venderà la propria anima per un amore impossibile, un uomo che sarà tormentato dai suoi delitti. Un altro romanzo di Cain, “Il postino suona sempre due volte” (“The postman always rings twice”, 1934), riprende il topos del protagonista che gioca con il diavolo, un Faust moderno, e racconta con estremo realismo il suo fare delittuoso. Il rumore del cranio della sua vittima che si rompe sotto i colpi da lui inferti lo terrà sveglio la notte; la violenza del suo amore è descritta sapientemente, un sadismo che attira il lettore e lo porta ad interrogarsi sulla propria natura, restando sconvolto tanto dal racconto quanto dal proprio sentire.
Il gusto dell’orrido, incubi che precorrono eventi nefasti, personaggi in bilico sul baratro della dannazione popolano non solo le tragedie del maestro di Nerone, i drammi di Marlow o gli scritti di Lewis, ma anche l’America degli anni trenta e da lì giungono fino a noi.

La II Guerra Mondiale è stata definita la guerra civile europea, combattuta ovunque nel Vecchio Continente e da chiunque, civili, a volte loro malgrado, e militari. È stata raccontata da molti cineasti e sempre più realisticamente. Quentin Tarantino, che aveva rielaborato il genere pulp in uno dei suoi film più celebri, “Pulp Fiction” (1994), descrivendo Los Angeles come un luogo sospeso in un universo parallelo ma terribilmente reale, racconta a modo suo anche la seconda guerra mondiale. “Inglourious bastards” (2009) è un film nel quale il gusto per i particolari sadici è portato all’estremo. Buoni e cattivi odiano, soprattutto odiano. Uccidono i loro nemici con una violenza fuori dal comune, il piacere per il dolore pervade tutto il film. Le femme fatales diventano le prime alleate dei buoni, ma lo fanno senza perdere la loro essenza di cattiveria estrema, di spietatezza fascinosa tipica dei personaggi che le hanno precedute. Tutti i protagonisti, a tratti, sembrano riaffermare la loro umanità, nel senso migliore del termine, e contemporaneamente sono capaci di azioni, appunto, disumane. Un solo personaggio è assoluto. Lucano nel suo “de Bellum civile” sceglie un paladino del bene tra personaggi di dubbia natura, Tarantino l’esemplificazione del male: Adolf Hitler, l’unico personaggio del film che è del tutto e per tutto malvagio, disumano, diabolico. E quello che resta allo spettatore è la sensazione che qualunque sia il tuo scopo, mostrarsi buoni, rifiutare il male, sia il modo migliore per fallire, mentre nella carneficina finale che pone fine alla guerra possiamo tutti godere del dolore del nostro nemico.

L’orrido ci spaventa, il male ci possiede e noi lettori continueremo a decretare il successo di artisti capaci di mostrarcelo, di farci spaventare suscitando in noi terrore e piacere, tanto è una finzione, o per lo meno possiamo sempre crederlo.

 

Uscita nr. 36 del 20/08/2012