:: CULTURA  
  DONNA ANGELO E FEMME FATALE: LA MALEDIZIONE SPIETATA DI TIM BURTON
Cesare Granati
     
 

Descrizione: dark-shadows.jpgL’ultima creatura di Tim Burton è un film dal cast stellare, dove insieme a celebrità del calibro di Johnny Depp e Michelle Pfeiffer, recitano giovani promesse come Chloë Moretz, attrice classe ’97 che sta rapidamente scalando l’Olimpo Hollywoodiano. L’atmosfera di “Dark Shadows” è gotica. Questo termine, nella accezione odierna, risale a metà del ‘700, periodo di grande importanza per la genesi del romanzo moderno, o romanzo borghese, che nasce in Inghilterra. Nell’isola britannica e in particolare a Londra, gli ambienti intellettuali riflettevano sulla condizione umana in rapporto con le grandi innovazioni tecnologiche e sociali, in particolare l’affermarsi del ceto medio come classe dominante, e sostenevano il primato della ragione, forza in grado di catalogare la realtà e guidare il progresso umano nel futuro. Così pensavano nel secolo dei lumi. In questo contesto si sviluppò il realismo formale, cioè un sistema narrativo basato sulla verosimiglianza degli eventi narrati e sulla precisione, in certi casi esasperata, delle descrizioni. I sentimenti dei personaggi dovevano essere espressi secondo le convenzioni sociali del tempo e senza urtare la moralità del pubblico dei lettori, appartenente come gli autori alla borghesia cittadina e composto in gran parte da donne. Queste vivevano in una condizione di profonda inferiorità e sottomissione rispetto agli uomini, prima come figlie e poi come mogli.
Il romanzo, o novel, dava loro la possibilità di immergersi in un mondo parallelo, realistico, dove le protagoniste dovevano guardarsi da corteggiatori pericolosi che tentavano di strappargli il bene più prezioso, cioè la verginità, e al contempo dovevano trovare un uomo da sposare, da servire e riverire potendo così compiere il loro destino ultimo cioè diventare mogli e madri. L’istinto sessuale umano, infatti, trovava uno sfogo accettabile solo all’interno del matrimonio e la donna perfetta, la donna angelo dell’immaginario puritano, era colei che si prestava ad accettare questo destino, senza trasporto apparente ma come supremo sacrificio per mantenere l’ordine sociale e per evitare che il maschio, impegnato nel perseguimento del successo economico, si lasciasse corrompere dalla sua sessualità sfrenata e incontrollabile.

La letteratura fu specchio di questa società ma fu anche il luogo nel quale dare  sfogo agli elementi del sentire umano che da essa erano repressi. Le passioni sarebbero state liberate dall’avvento del Romanticismo, che poneva al centro del mondo l’essere umano e le sue emozioni, ma già a metà ‘700 questa spinta emotiva diede i suoi frutti. Il romanzo gotico anticipò le istanze romantiche e fu da subito un genere letterario controverso. Lo stile aulico e quello comico si fondevano in esso che, pur seguendo il procedimento formale del novel, dava sfogo all’io più profondo e alle passioni più nascoste dell’animo umano, accompagnando i lettori, e in particolare le lettrici, in castelli oscuri, prigioni-convento, cunicoli intricati e foreste terrificanti. L’elemento sovrannaturale, fosse esso uno spettro o satana in persona, incombeva sulla vita dei protagonisti; il Bene e il Male si sfidavano per l’animo di una fanciulla e i cattivi, tormentati e schiavi dei loro stessi peccati, precipitavano in un vortice di dannazione. Il percorso del romanzo gotico, di cui “Il castello d’Otranto” (1764) di Horace Walpole è universalmente considerato il capostipite, si concentrò sempre più sull’analisi del villan, il cattivo, e l’esito dello scontro tra forze del male e forze del bene si fece sempre più indefinito. Di fianco a grandi autori si cimentarono in questo genere anche scrittori mediocri che erano ingaggiati dalle case editrici per creare dei prodotti di sicuro successo, sempre più violenti e terrificanti, e regolati da una serie di cliché che permettevano al pubblico di spaventarsi senza impegnarsi troppo.

Con le sue ambientazioni tetre, gli avvenimenti fantastici e i personaggi faustiani non risulta difficile capire perché il gotico divenne anche un genere teatrale di grande successo nel corso del XIX secolo. Da qui al cinema il passo è breve. I titoli di romanzi gotici trasformati in film di successo sono molti e anche le opere cinematografiche originali di stampo gotico abbondano nella storia del cinema. Tim Burton è uno dei registi contemporanei che più spesso ha dato vita a favole gotiche, da “Edward Mani di Forbici”, fino appunto a “Dark Shadows”. Lo ha fatto capovolgendo alcuni aspetti tipici del genere e rielaborandone altri a suo piacere. Non fa eccezione il suo ultimo lavoro. L’aspetto più interessante riguarda le due donne che causano, in modo differente, le disavventure del vampiro protagonista del film. Una ha l’aspetto della donna angelo, dell’eroina sensibile e con una grande immaginazione, vittima designata del villan. L’altra è una femme fatale, una strega, spudorata e seduttrice, ossessionata dall’oggetto del suo amore, un amore impossibile.

Il film, rivisitazione di una nota serie tv degli anni sessanta e scritto da Seth Grahame-Smith, inizia con il racconto delle disavventure di Barnabas Collins (Johnny Depp), il rampollo di una nobile famiglia inglese che a metà del ‘700 si era trasferita in America e, dopo aver avviato una fortunata azienda ittica, aveva fatto costruire un grande maniero in stile gotico intorno al quale era sorta la cittadina di Collinsport. Dopo aver sedotto la sua domestica, ammette di non amarla e inizia a corteggiare un’altra donna. Purtroppo per lui Angelique (Eva Green) non è una semplice cameriera, ma una strega. Dopo aver ucciso i suoi famigliari e la sua amata, lo trasforma in Vampiro. Gli abitanti del villaggio lo seppelliscono vivo e Barnabas si libererà da questa prigione solo duecento anni dopo.
Sono gli anni ’70, i discendenti dei Collins abitano ancora nella proprietà di famiglia, chiamata Collinswood, ma le loro condizioni economiche sono in realtà precarie. La famiglia è composta dai fratelli Collins, Elizabeth (Michelle Pfeiffer) e Roger (Jonny Lee Miller) e dai loro figli: Carolyn (Chloë Moretz), la figlia di Elizabeth, e suo cugino David, uno “strano” bambino che è rimasto orfano della madre e per questo motivo è da parecchio tempo in cura presso la dottoressa Julia Hoffman (Helena Earl Haley) che ormai fa parte della famiglia. Poco prima che Barnabas torni a casa giunge Victoria Winters (Bella Heathcoote), una misteriosa ragazza dai tratti angelici, assunta come babysitter e della quale il vampiro s’innamora immediatamente. Causa del dissesto economico della famiglia è l’industria rivale a capo della quale c’è Angelique Bouchard, in realtà la strega immortale che duecento anni prima aveva rovinato Barnabas.

Il film è incentrato sulla lotta tra Barnabas e Angelique. Il primo vuole riportare in auge il nome della propria famiglia e liberarsi dalla maledizione che lo affligge, la seconda vuole distruggerlo e portargli via tutto quello che ama. Angelique è la tipica femme fatale, una strega che perseguita i suoi nemici senza pietà. Non è un’eterea fanciulla ma una cacciatrice di uomini, i suoi appetiti sessuali, il suo diabolico amore per Barnabas motivano ogni suo gesto. Barnabas è un eroe molto distante dell’uomo buono, dal paladino dei romance presente in molte opere del genere gotico. È maledetto, immortale ma già morto. È un vampiro, emblema del male, servo di satana, affascinante e irresistibile per le sue vittime. S’innamora di Victoria, una ragazza che ricorda molto le donne amate dai poeti dell’amor cortese. La donna angelo è una fuggitiva, una ragazza scappata da un manicomio nel quale era stata rinchiusa dai suoi famigliari che non credevano potesse parlare con gli spiriti. In questi personaggi, Bene e Male si confondono senza speranza di equilibrio. Anche la casa dove abitano i Collins appare sia come una prigione buia e dalla quale non c’è scampo, sia come rifugio dal mondo esterno, ricordando molto i castelli dei romanzi gotici, insieme luoghi dominati da un tiranno e estrema difesa dell’uomo contro la volubile e terrificante natura.
Gli anni ’70 sono un periodo mitico nel nostro immaginario. La rivoluzione culturale stava prepotentemente sconvolgendo l’ordine sociale. Come negli anni della rivoluzione industriale in Inghilterra, gli uomini si trovavano di fronte a cambiamenti epocali con i quali era inevitabile confrontarsi. Non solo Barnabas, un uomo del ‘700, ma tutti i personaggi del film, eccetto Angelique, si confrontano con una realtà ignota che travolgerà le loro vite e brucerà il maniero di famiglia. La femme fatale è l’unica che sembra realmente a suo agio nel mondo moderno, spietata in amore come nel mondo degli affari, simbolo delle contraddizioni etiche e morali che percorrono tutta la storia del capitalismo occidentale, prigione dorata dell’essere umano, confinato nel paradosso della libertà individuale e dell’egoismo economico. Anche lei però sarà distrutta: saranno i tormenti che le divorano l’animo a condurla alla rovina. Al contrario la donna angelo si salverà perdendo ogni speranza di beatitudine. Coronerà il suo amore maledetto, non sarà più angelo ma demonio e potrà unirsi così al maligno.
 
Il Male e il Bene convivono nell’essere umano, la lotta tra loro è la battaglia che l’essere umano combatte ogni giorno con se stesso. Non si tratta di schierarsi, non è possibile trovare la pace perché il mondo è ingiusto e misterioso, anche più di un tetro maniero in mezzo alla foresta. L’unico modo per essere felici è capire quale sia, per noi, la maledizione più dolce.

 

Uscita nr. 34 del 20/06/2012