:: STORIA    
 

NICOLA E ALESSANDRA: MALATI DI INCONSAPEVOLEZZA
Luigi la Gloria

     
 

E’ passato quasi un secolo dalla tragica notte del 17 luglio 1918.
In un’oscura città degli Urali, Ekaterinburg, Nicola II, la Zarina Alessandra e i cinque figli vennero fucilati e poi finiti a colpi di baionetta da un commando guidato da Jakov Jurovskij.
Ma qui non si vuole rievocare la tragica fine della famiglia reale dei Romanov bensì proporre alcune riflessioni su di un uomo chiamato a guidare, per diritto di successione, uno sterminato impero in un momento della storia europea contrassegnata da profondi mutamenti politici e sociali.
Per molto tempo alcuni storici hanno sostenuto che la dissoluzione dell’impero zarista sia stata determinata dall’andamento disastroso della prima guerra mondiale; in realtà a renderlo inevitabile furono le molteplici cause scaturite da quell’infausto anno, il 1894, in cui Nicola II e Aleksandra Fëdorovna salirono al trono dopo la prematura morte di Alessandro III, sovrano che, pur non avendo il talento di Pietro il Grande e neppure di suo padre Alessandro II,  possedeva un innato intuito pratico per governare, con polso fermo, un Paese in crisi di sviluppo, in bilico tra l’immobilismo e le nuove idee dell’era moderna. Nicola II non aveva le capacità del padre né tantomeno la sua consorte era la zarina Maria. Il 26 maggio 1894, giorno dell’incoronazione, esordì con una frase che segnerà il suo destino: Manterrò, per il bene della Russia intera, il principio dell'autocrazia assoluta, nel modo fermo e deciso come l'ha fatto mio padre.
Il novello zar, del tutto indifferente alle complesse questioni sociali che affliggevano il suo Paese, si apprestava a restaurare il vecchio e sorpassato ideale del sovrano padrone, un mito morto già dall’epoca di Alessandro I, il cavalleresco avversario di Napoleone.
In questo ritorno alla più stretta e anacronistica ortodossia autocratica egli fu incoraggiato e sostenuto con inesauribile ardore dalla sua consorte tedesca Aleksandra Fëdorovna, che pure avrebbe dovuto avere un’aperta mentalità occidentale, avendo vissuto la giovinezza nella quasi democratica corte d’Assia e in Inghilterra, a stretto contatto con i suoi parenti della monarchia costituzionale britannica. Di qui le continue frizioni della zarina con la regina madre Maria che si sforzò invano di contrastare la crescente influenza della nuora sul figlio Nicola, prevedendo catastrofi che puntualmente si avverarono. 

Nel suo intimo Nicola II era certamente un brav’uomo, armato di buone intenzioni, tutto casa e famiglia. Ma potevano bastare queste qualità per guidare uno sterminato impero, scongiurare l’imminente bufera che invece andava affrontata con energia e grande tatto politico, mettendo da parte gli obsoleti tabù autocratici e religiosi? Potevano questi poi conciliarsi con l’indecisione, la timidezza e il suo patologico fatalismo? Quanto alla moglie Alessandra, pur devotissima al marito e ai figli, non si può nascondere, soprattutto alla luce del ricco epistolario fra lei e Nicola dal 1914 al 1917, l’impressione di trovarsi di fronte ad una donna non del tutto equilibrata e di intelligenza mediocre, intrisa di provincialismo, malata di isteria e tormentata da un’esasperata devozione ascetica. Di temperamento passionale, Alessandra cercava di tenere avvinto a sé lo zar con uno stucchevole romanticismo e con goffi vezzeggiamenti, vagamente erotici, nella convinzione di mantenersi salda sul trono dal quale aveva finito per allontanare tutti i suoi naturali i difensori, trattandoli con alterigia e apparente disprezzo.
Le serate della coppia imperiale si erano ridotte, negli ultimi anni, a squallidissime chiacchierate con la capricciosa e spesso tirannica Anna Vyrubova, divenuta unica amica della zarina e latrice dei tanto attesi messaggi di Rasputin, il nefasto uomo di Dio, nel quale Alessandra credeva ciecamente.
Così, poco a poco, i sovrani finirono per isolarsi in modo totale da un lato scontentando profondamente le classi che avrebbero dovuto sostenerli, aristocrazia, borghesia, latifondisti e dall’altro mettendosi contro il proletariato operaio e contadino, che non era aprioristicamente antimonarchico, ma lo divenne allorché si accorse che lo zar, autocrate, non faceva nulla per migliorare le loro tristissime condizioni di povertà. Gli slanci mistico-acetici di Alessandra verso il buon contadino portatore di Dio, dalei identificato e idealizzato come l’unico vero rappresentante del popolo russo, non corrisposero mai con concreti sforzi per alleviare le loro terribili condizioni; cosi quei vagheggiamenti pseudo sociali della zarina verso i ceti diseredati delle campagne, giacche degli operai non se ne curò mai, finivano per assumere il sapore della beffa. Bisogna comunque precisare che queste tendenze di Alessandra rimasero latenti per tutta la prima metà del suo regno durante il quale si occupò assai poco di politica.
Le cose si aggravarono a partire dal 1904, dopo la nascita dell’erede al trono Alessio, affetto da emofilia, e dopo la disastrosa ed umiliante sconfitta militare da parte del Giappone.
Il volontario isolamento di Nicola e Alessandra divenne sempre più stretto per loro precisa scelta, così le forze sotterranee che lavorarono per far esplodere le vecchie strutture feudali ebbero via libera e finirono per prevalere.
Gli insuccessi militari del 1914-1917 non fecero che suggellare uno stato di fatto, nel quale la fanatica infatuazione dell’imperatrice per l’equivoco e rozzo Grigorij Rasputin, nata dall’assurda convinzione che solo lui potesse guarire il figlio Alessio dall’emofilia, diede fuoco alle polveri anche perché l’improvvido Nicola II, dopo aver accettato a malincuore nel 1905 un’edulcorata forma di assemblea rappresentativa di tipo democratico, la Duma, fece di tutto per indebolirne i poteri e mettersela contro, anche grazie ai continui incitamenti della moglie, con il risultato che nel momento più critico egli si trovò ad affrontare da solo la tempesta rivoluzionaria. Mentre anche nei momenti più bui Luigi XVI e Maria Antonietta trovarono sempre sostenitori fedeli pronti a rischiare la propria vita per tentare di salvarli, dopo la Rivoluzione russa del febbraio 1917 non ci fu nessuno disposto ad alzare un dito in favore dei due monarchi.
Si potrebbe dire addirittura che l’avvenimento in Russia passò quasi inosservato.
In tal modo Nicola e Alessandra si incamminarono verso l’inevitabile distruzione, forse sarebbe meglio dire autodistruzione, con lo stesso spirito nichilista dei loro implacabili nemici. E se la loro caduta avvenne nell’indifferenza generale, compresa quella degli alleati occidentali a cui essi ormai non servivano più, con altrettanto distacco fu accolta la notizia della loro terribile fine.
La loro morte infatti, avvenuta nel momento più feroce e caotico del trapasso dal vecchio al nuovo regime, non sollevò alcun fremito di particolare emozione negli eserciti antibolscevichi, anche quando se ne conobbero gli orrendi dettagli.
L’ironia della sorte fu che i più potenti alleati di Lenin e Trotzkij non furono gli operai delle officine Putilov o i marinai di Kronstad ma gli stessi sovrani. Se si legge la corrispondenza di Nicola II con la madre Maria si può capire con chiarezza passo dopo passo come la debolezza di Nicola precipiti nell’indifferenza. Il suo chiudere gli occhi davanti al dilagare della corruzione nel paese, la sua singolare ingenuità insieme ad un’ottusa cocciutaggine lo portarono ad arrendersi ai suoi nemici senza praticamente battersi, liberandosi quasi con sollievo del peso di quel trono. La causa di queste sciagurate decisioni fu il cupo pessimismo indotto dall’eccessivo e dilagante misticismo della moglie e del suo continuo intrigare in ogni ambito degli affari di Stato, con la scusa di dare all’imperatore, attraverso i consigli di Rasputin, una carica di energia che finiva poi per renderlo sempre più indifeso.

Soprattutto a partire dal 1915 l’implacabile martellamento giornaliero di Aleksandra Fëdorovna dominò la vita politica della Russia con risultati disastrosi. E’ impressionante la lettura del carteggio della zarina con Nicola con i continui rimproveri e i grotteschi incitamenti a usare un pugno di ferro che egli non aveva: sii Pietro il Grande, Ivan il Terribile, l’imperatore Paolo! Schiacciali tutti! Benché Nicola non sempre cedesse ai suggerimenti della petulante moglie, egli si trovò, poco a poco, costretto ad imboccare una strada verso l’inesorabile abisso che preparò l’avvento, in un bagno di sangue senza precedenti, di un’altra Russia, divenuta più tardi, attraverso indicibili sofferenze di ogni genere, l’Unione Sovietica.
Di tutta questa assurda storia, intrisa di sciocca e fatale inconsapevolezza, ciò che ci spinge ad assolvere questi due nobili sprovveduti è soltanto il calvario della prigionia e la loro orribile fine.

 

 

 

Uscita nr. 30 del 20/02/2012