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PERSANO: IL VILLAGGIO E LA VITA QUOTIDIANA
Alessandra Gallotta

     
 

Sono nata a Persano.
Mio padre faceva il sellaio, qui. Era nato a Grosseto, altra terra di cavalli.
Mia madre era nata a Persano, come i miei nonni materni. A Persano sono vissuta fino al 1977 e, come me, le persone di questo borgo se ne sono dovute andare, disperdendosi in tutt’Italia. Nella cappella palatina si sono celebrati: battesimi, matrimoni, funerali, cerimonie liete e tristi che hanno coinvolto, nel bene e nel male, la nostra piccola comunità.  Ai matrimoni si era invitati tutti e, nei momenti di tristezza, ci si aiutava a vicenda. Questo è quel Persano che ci è rimasto nel cuore, la cui ricchezza cerchiamo di trasmettere ai nostri figli. Ma che cosa è Persano?

La sua fama e la sua storia sono dovute al suo bosco e alla razza di cavalli qui allevata.

Il bosco, esteso, inestricabile, era conosciuto per la sua folta ed impenetrabile vegetazione. Ancora oggi si usa dire, infatti, quando non si riesce a trovare qualcosa: - L’hai forse perso nel bosco di Persano?-
Ma da dove proviene il nome Persano?
Secondo il Prof. Domenico Siribelli proviene da molto lontano. Infatti, nel 273 a.C. i Romani fondavano, contemporaneamente a quella di Paestum, una colonia nella pianura che si stende ancora oggi dalla riva destra del Calore alla riva sinistra del Sele, fino a raggiungere le falde degli Alburni. Come colonia, era una proiezione di Roma in territorio campano e la terra su cui sorgeva veniva considerata “ager publicus” Dopo la seconda guerra punica (219-201 a.C.) Roma donò ai veterani parte dell’ager publicus e Siribelli sostiene che quel tratto compreso tra il Sele ed il Calore toccò ad un certo Persius. Le terre della colonia divennero quindi “saltus persianus”, cioè latifondo di Persio. C’è da aggiungere, poi, che il nome Pressanu è stato ritrovato in un documento del 926 d.C., conservato nel capitolo CXLIV del “Codice Cavense”, nel quale si evince che un certo Rodelgardo dona alla Chiesa i suoi possedimenti tra il Sele e il Calore: oltre ai servi ed agli armenti, si cita anche il luogo: Pressanu.
Radici antiche, dunque, possiede il nostro territorio e la fama dell’impervietà del suo bosco era già nota ai tempi dei romani, tanto che Virgilio nel III libro delle Georgiche scrive: “Est lucos Silari” … “vi è un bosco lungo il fiume Sele ricco di querce, nelle cui macchie abbonda un insetto, che i Romani chiamano assillo e i Greci estro, il quale punge la mandria che si sbanda per i pascoli e i cui muggiti di dolore fanno  tremare il cielo e il bosco, fino alla riva asciutta del Tanagro.” Già terra di pascoli, la nostra zona passò da mano in mano, fino ad essere acquistata da Carlo III di Borbone. Quest’ultimo proprietario è colui che fa la fortuna e la storia di Persano, determinando la nostra esistenza di persanesi e l’esser qui, oggi, a parlare di cosa sia stato Persano e della sua gente.

Narrano i biografi di Carlo III che egli aveva due passioni, coltivate entrambe fedelmente: la moglie, Maria Amalia di Sassonia, e la caccia. Quest’ultima lo portò a ricercare luoghi ameni e ricchi di selvaggina, in alcuni dei quali fece costruire delle Casine, che potessero ospitare degnamente lui e la sua corte.
Carlo cacciava a Bovino, a Venafro, a Ottaviano, a Persano dove giungeva dopo la commemorazione dei defunti.
Per poter raggiungere più facilmente questo nuovo sito reale, fece ampliare e migliorare la strada che partiva da Salerno e sulla Porta Nuova, quella che si apre sulla piazza dove fino a qualche anno fa si teneva il mercato del pesce, fece apporre una lapide, tutt’ora leggibile, sulla quale è inciso che “Tutto il popolo di Salerno ha fatto collocare, in questo luogo, una porta nuova e più elegante, affinché fosse più agevole il viaggio verso il territorio di caccia di Persano per Carlo di Borbone. Anno 1754.”

Naturalmente quando il Re si spostava, era seguito dalla corte, dai servi, dai soldati e da tutte quelle persone che dovevano organizzare e rendere piacevole il suo soggiorno in questo piccolo angolo del Regno. In media, il suo seguito era formato da oltre mille persone.
Quindi a Persano, oltre la Casina, furono costruiti anche altri edifici di servizio, atti ad ospitare i servi, i cavalli, le carrozze, i soldati, i cani per i quali si era creato un apposito quartiere, la “panetteria”. Quando il Re ritornava a Napoli, qui rimanevano le persone che dovevano assicurare la manutenzione, la cura ed il mantenimento delle strutture e del nucleo abitativo che si andava formando e degli animali che ne costituivano la ricchezza.
Nel territorio si allevavano infatti, da sempre,  bufale, ovini e bovini. Dal ‘500 anche cavalli. Le risorse naturali di Persano, le ricchezze di boschi, prati e pascoli, colpirono l’interesse di Carlo III che mantenne gli allevamenti ed i pascoli e iniziò a migliorare la razza di cavalli autoctona, opera poi continuata dal figlio Ferdinando e dal nipote Francesco I.

Naturalmente l’ampliarsi dell’allevamento favorì la richiesta di operai e addetti ai lavori. Perché il cavallo necessita di uno stuolo di persone, specializzate e non, che si occupino di lui. Oltre ai giumentari ed ad un amministratore che mantenesse i contatti con la corte, altri artigiani specializzati vi trovarono lavoro, da quel momento in poi. Venivano dai paesi vicini: Serre, Eboli, Altavilla, Albanella, Campagna. Vennero, e qui trovarono lavoro e alloggio, fabbri, maniscalchi, sellai, falegnami, carresi, scafajuoli, ualani (addetti alle mandrie bovine), addetti ai cani, alle stalle, alle carrozze ed altri ancora che svolgevano mestieri umili, ma che poterono dignitosamente sfamare e crescere i propri figli. Il nucleo abitativo si andava incrementando e Persano divenne un villaggio, un piccolo borgo, che si diede anche delle tradizioni, soprattutto religiose, scaturite dalla presenza della cappella gentilizia sistemata nel cuore della Casina. Si viveva in modo semplice, ma sano.
Quando Ferdinando IV volle fare un viaggio sulla via delle Calabrie, per vedere il Vallo del Diano, sostò a Persano. In quell’occasione scrisse all’Ammiraglio Acton:

Persano, 29 marzo 1788. Quella porzione del reggimento di Napoli che in diversi luoghi ò veduto mi è piaciuta molto, così per i cavalli, come per la gente e la sua pulizia”.

Ferdinando IV veniva spesso a caccia in questi boschi e, come dicono i suoi biografi, coltivò fedelmente, a differenza del padre Carlo, solo questa passione, malgrado la sua autoritaria consorte fosse una donna molto bella. Della presenza di Ferdinando e Carolina a Persano, al di là dei testi ufficiali, abbiamo conferma da una lapide affissa nell’androne del Monastero delle Monache Benedettine di Eboli, fatta mettere da una nobile Monaca, suor Maria Scolastica Campagna, in ricordo della visita dei reali.
La visita avvenne il 4 gennaio 1774.

Ma torniamo al nostro borgo, che, nel frattempo, si è accresciuto di persone e maestranze.

Alle maestranze che risiedevano a Persano, il sistema Borbonico assicurava:
- un alloggio, in rapporto al nucleo familiare;
- un orto di circa 500 metri quadri;
- la possibilità di allevare 10 galline, 10 conigli, 1 maiale, 2 colombi.
Inoltre dall’allevamento delle vacche, le famiglie potevano usufruire di razioni quotidiane di latte e settimanali di burro e ancora di un caciocavallo. Questo sistema, mantenuto dai Savoia, è durato fino a qualche decennio fa, fino a quando la vaccheria, e quindi l’allevamento della razza podolica, non è stata spazzata via.
La stessa cosa avveniva per il grano: ogni famiglia riceveva una quantità di grano sufficiente per le proprie necessità. Il grano veniva macinato nel mulino, sito lì dove oggi trova posto il corpo di guardia, all’ingresso della caserma, ed era gestito, negli anni ’50, da Nicola il molinaro.
Ogni famiglia, 1 volta alla settimana, preparava il proprio pane, con il lievito che passava di
famiglia in famiglia, pane che veniva cotto nel forno comune secondo una turnazione prestabilita. 
Naturalmente la comunità necessitava di acqua. I panni venivano lavati nelle acque pulite del Sele, ma quella potabile veniva assicurata da pozzi e dalle 4 o 5 Norie, che sollevavano acqua potabile anche per gli abbeveratoi dei cavalli. Poi, nel 1935, si portò, grazie a delle fontane, l’acqua potabile in Persano. Una di queste fontane è sita, ancora oggi, in piazza Sofia. Un pozzo, in particolare, è rimasto nella nostra memoria: il Pozzillo, da cui si attingeva, prima che la mia generazione nascesse, l’acqua di Castrullo. Legato al Pozzillo, c’era un detto: “Non sei di Persano se non hai bevuto l’acqua del Pozzillo”.

Nella stessa località, di fronte agli orti, fu costruito il lavatoio pubblico quasi certamente nello stesso periodo in cui fu costruita la diga di sbarramento sul Sele, terminata nel 1938 ed inaugurata, nello stesso anno, dal Principe Umberto. Vi è traccia di ciò su un’incisione affissa all’interno dell’area della diga. Il compimento di quest’opera e la bonifica della piana, un tempo zona di malaria, permisero l’attuazione dei canali di irrigazione e la possibilità di migliorare la qualità delle colture, la capacità produttiva e la qualità della vita anche dei braccianti agricoli.
Questo a Persano.
A Baraccamento i giumentari (divenuti butteri con i Savoia) vivevano nel Padiglione, altra costruzione della seconda metà del ‘700. I giumentari si occupavano dei cavalli ospitati nei capannoni delle Capanne, di Spineto e del Tempone.
La vita ferveva.
Una giornata di lavoro iniziava presto, per tutti. I butteri si dedicavano ai cavalli, gli ualani ai bovini. I fabbri battevano sulle incudini i ferri che il maniscalco avrebbe inchiodato sotto gli zoccoli dei cavalli. I carresi sistemavano carri, riparavano carretti, traini, carrozze; le carrozze avevano i cocchieri, come i carretti i carrettieri e i traini i trainieri. I sellai si occupavano della
manutenzione dei finimenti di cuoio dei cavalli da tiro e da monta. Gli impiegati garantivano l’espletamento degli atti e delle pratiche. Gli addetti alle scuderie e ai canili pulivano e preparavano gli ambienti per gli animali. E così i falegnami, lo scafajuolo, il banditore, che andava annunziando nei dintorni le aste dei cavalli e dei buoi. Tanti mestieri, forse qualcuno è sfuggito, tanta gente che lavorava.
Nella seconda metà del ‘700 Persano costituiva, per la nostra zona, l’unico polo lavorativo che potesse offrire lavoro e dignità alla nostra gente. Intorno c’era miseria e malaria. Contadini e mezzadri, trattati male dai loro padroni, vivevano ancora schiavi dei feudatari.

Come mai a Persano questo non succedeva? A Persano e anche a San Leucio, altro sito reale, acquistato da Carlo III e trasformato in un’unica seteria da Ferdinando, nel 1776?
Perché i Borboni erano attenti alle necessità ed ai bisogni delle persone e crearono, nei luoghi di loro proprietà, borghi e villaggi a dimensione d’uomo, con regole che garantissero una vita tranquilla e assicurassero cibo e benessere ai propri dipendenti. Non riuscirono ad eliminare, nel Regno, quei residui di feudalesimo che rallentavano lo sviluppo economico e sociale del Sud, solo a causa della ritrosia dei nobili e del clero. Assurdamente la legge eversiva della feudalità fu promulgata il 2 agosto 1806 da Giuseppe Bonaparte, nel breve periodo in cui fu Re di Napoli per volontà del fratello Napoleone, durante il così detto decennio francese.

E le donne?
Le donne si occupavano della casa e dei figli. Era duro cucinare sul fuoco e lavare i panni al fiume o al Pozzillo. Fare il pane una volta alla settimana, provvedere alla cura dell’orto e degli animali domestici e raccogliere nei prati la cicoria selvatica, altro elemento base dell’alimentazione di noi Permanesi. In primavera gli asparagi e in autunno i funghi, i prodotti dell’orto, il latte della vaccheria, il grano, le uova, la carne degli animali allevati, hanno consentito ai nostri nonni di vivere e nutrirsi, mentre nella piana del Sele, come si diceva prima, le condizioni di vita erano difficili.
Persano è stato, dai Borboni in poi, per molti decenni, l’unico polo lavorativo di una certa importanza per i paesi che gli gravitavano intorno. E fu così anche dopo l’unità d’Italia. Quando, infine, nella piana si passò alla lavorazione del tabacco, che richiamava molti operai, sia uomini che donne, Persano divenne il terzo polo lavorativo, che usufruiva ancora del sistema sociale borbonico.
Inoltre è stato anche riferimento importante per i circa 20 allevamenti di cavalli salernitani della nostra provincia. A Persano c’erano anche la caserma dei Carabinieri e un ufficio postale, che serviva il circondario. A Persano, insomma, si stava meglio che ad Eboli, a Serre, Altavilla.

Perché?
Perché, oltre al lavoro, e a quel sistema sociale di cui abbiamo parlato, i nostri nonni avevano organizzato anche il tempo libero. Parlando di anni più vicini ai nostri, ci si sedeva a fumare un sigaro sotto “e cchiante” o si aspettava pazientemente il proprio turno, seduti davanti alla “barberia”, in attesa che il barbiere terminasse di radere il cliente sistemato sull’unica sedia del piccolo settecentesco negozio (ora eliminato). Si organizzavano tiri alla fune, gare di corsa, partite di bocce. C’erano il teatro ed un piccolo poligono per il tiro al piattello, dove i nostri nonni si esibivano volentieri. In tempi più recenti si ebbero: il circolo motociclistico, il dopolavoro, il cinema, le feste alla buona dove si ballava e si stava insieme.

D’estate si andava al mare, a Paestum. C’era la Festa della Madonna delle Grazie, che portava nella nostra piazza le giostre e i venditori di torrone, che non mancano mai nelle sagre paesane. C’era una piccola cantina, dove si potevano acquistare, in tempi più recenti, quelle cose che la modernità andava proponendo. Perché l’evoluzione non ha risparmiato neanche Persano.
C’era il procaccia, che si recava ad Eboli con il suo calesse e acquistava tutte quelle cose che gli venivano richieste. Non prendeva appunti: ricordava tutto a memoria. C’era Romualdo col suo carretto, che passava ogni mattina, casa per casa, a raccogliere la spazzatura, che poi andava a scaricare all’immondezzaio, lungo il Sele. Allora la spazzatura era biodegradabile. C’era il Sacerdote, don Vittorio. C’era la scuola. I nostri genitori hanno frequentato le elementari. Noi, quelli della mia generazione, abbiamo avuto, tutti, la possibilità di continuare, e non ci siamo fermati alle medie. Si andava ad Eboli, con la carrozza. Poi con il camion militare, dopo l’arrivo dei soldati, avvenuto nel 1953. Poi con la corriera militare.
Tutto un sistema sociale, quindi, ben organizzato, con una qualità della vita che, nel suo periodo d’oro, è stata determinata anche dall’intelligenza e dalla sensibilità degli ufficiali di cavalleria e degli ufficiali veterinari che si sono susseguiti nell’amministrazione di questo centro. Qualità della vita invidiata dai paesi vicini.

Un sistema sociale scandito dai cicli delle stagioni e delle tradizioni: la festa della marchiatura dei cavalli, la nascita dei puledri, la transumanza, il battere delle ore dell’orologio che troneggia di fronte alla Casina. L’orologio veniva regolarmente caricato ogni sera, al termine del lavoro, da zio Luigi Tartaglia. Qualche volta consentiva a noi bambini di assistere a quello che per lui, e per noi piccoli affascinati dai quei meccanismi ben oliati e funzionanti, era un rito quotidiano. L’orologio batteva le ore e il trascorrere del tempo. E dopo tanto tempo, malgrado Persano sia andato verso una trasformazione che ha determinato la fine di quel mondo ordinato e perfetto, ci ritroviamo qui a parlarne ed è toccato a me farlo. L’ho fatto volentieri, con una nostalgia che incrina la voce ed il cuore.

 

Uscita nr. 25 del 20/09/2011