:: CULTURA    
 

MISTERI E TECNICHE DELLA TRAPANAZIONE CRANICA NEL MONDO ANTICO: Intervista all’Antropologo Alejandro Ramirez
Giovanni La Scala

     
 

Il museo Nazionale di archeologia ed antropologia di Lima, raccoglie una delle collezioni più interessanti del passato pre-ispanico. La sua importanza risiede nel vasto e variegato patrimonio ospitato nelle innumerevoli sale espositive. Non è la prima volta che mi reco in visita a questo straordinario museo ma, in questa particolare occasione, sono in compagnia del dott. Alejandro Ramirez, medico e profondo conoscitore del Perù antico, della storia preincaica di questo paese, il quale, con grande disponibilità, mi ha offerto la sua sapiente guida. Ramirez è giovane, poco più che quarantenne, capelli neri ondulati e carnagione piuttosto scura e questi connotati lo fanno sembrare più un giovane spensierato che un apprezzato studioso.
Il museo custodisce una preziosa collezione di ceramiche Moche, Wari, Nazca e di altre civiltà preincaiche, si tratta di antichi vasi che, per il loro morfismo e per le composizioni grafiche con cui sono stati decorati, riportano l’osservatore indietro nel tempo in un viaggio suggestivo e surreale: sono un libro aperto sui riti, costumi, scene della vita quotidiana di queste antiche civiltà.
Tuttavia l’obiettivo di questa mia visita in compagnia di un illustre collega è quello di studiare da vicino un’altra collezione che è l’orgoglio di questo museo: la raccolta di antichi crani che testimoniano l’abilità di chirurghi, vissuti più di mille anni fa, nel praticare la trapanazione cranica.
Si può dire che la storia della chirurgia inizi con la trapanazione del cranio fin dall’età della pietra. Reperti rinvenuti a Taforalt, in Marocco, fanno risalire molto indietro nel tempo le origini di questa pratica: 12000 anni addirittura. La più antica testimonianza in Europa è stata rinvenuta in Alsazia e risale a 7000 anni fa. Nel neolitico era ampiamente praticata, ne abbiamo un esempio anche in Italia con il cranio di Catignano (Pescara) che risale al V millennio.
Oggi sappiamo che la trapanazione cranica era molto più diffusa di quanto si immaginasse anni fa. Si considerano oggi tre nuclei principali: l’Area Occidentale, che comprende Europa, Africa settentrionale e Canarie; l’Area Sudamericana, con Perù e Bolivia; l’area Oceanica, in Melanesia. In Perù abbiamo la densità di reperti più alta del mondo.
Il perchè venisse praticata è motivo di ampio dibattito.
Questa operazione era eseguita da sciamani e quindi si può pensare che venisse esercitata per motivi rituali e religiosi. Ma è stato ampiamente dimostrato che veniva eseguita anche per scopi medici. Infatti al cranio trapanato, a volte, era associato il resto di uno scheletro affetto da antiche patologie. In alcuni crani la trapanazione era associata a fratture della calotta e sarebbe stata eseguita, quindi, con il preciso scopo di drenare un ematoma intracranico. Traumi cranici erano quasi sempre riportati in battaglia: orienta in questo senso anche la frequenza doppia di trapanazione del parietale sinistro rispetto al parietale destro. Abbiamo inoltre molti crani di soggetti che sono sopravvissuti all’intervento, come dimostra la cicatrizzazione con formazione di un callo osseo. L’applicazione in alcuni casi di innesti in oro, o di materiali meno nobili, testimonia una previsione di guarigione del paziente.

Il cervello è un organo molto delicato, spiega il dott. Ramirez, protetto da una scatola ossea rigida, costituita da due lamine sovrapposte, con un’intercapedine, che formano una struttura di considerevole robustezza. Quando un evento patologico causa una infiammazione, o una emorragia, o un aumento di volume all’interno del cranio, allora si instaura un incremento della pressione endocranica che si manifesta con precisi sintomi neurologici e che può essere fatale. Se focalizziamo l’attenzione sull’aspetto medico, gli antichi chirurghi avevano capito che un foro praticato nel cranio poteva raggiungere un importante obiettivo: ridurre la pressione endocranica e il conseguente schiacciamento del tessuto cerebrale. Per quanto riguarda l’aspetto magico-rituale il principio è simile: far uscire dal cranio gli spiriti maligni causa di malattia. Questo concetto può sembrare semplicistico, ma bisogna ricordare che ancora oggi per i curanderos peruviani la perdita della salute, la causa delle malattie, va ricercata in qualche cosa di soprannaturale: spiriti maligni appunto, magia o malocchio in grado di entrare in una persona e romperne l’equilibrio.

Mentre parla, il dott. Ramirez mi guida attraverso il verde cortile del museo, all’interno di un lungo porticato.
Allora quali erano, per esempio, i confini tra una patologia organica evidente e le patologie psichiatriche?  gli chiedo. Mi risponde rivolgendomi un sorriso:

Si può ipotizzare che molte isterie guarissero dopo una manovra cosi traumatica. Di certo la trapanazione cranica era anche un’arma potente in mano agli stregoni del tempo.

Con quale frequenza compare nei reperti archeologici dell’epoca preincaica la trapanazione del cranio? Chiedo ancora.

Era ampiamente diffusa: una ricerca condotta sulle mummie preincaiche riporta una percentuale di trapanazione del 5%! E in alcuni casi veniva ripetuta due o tre volte. Questi interventi sorprendono ed affascinano non solo perché richiedevano abilità tecnica, ma anche perché venivano eseguiti senza la conoscenza dei moderni principi di asepsi. E la percentuale di successo era piuttosto alta, se si analizzano i crani con segni di riparazione cicatriziale.
Ho letto che poteva trattarsi anche di un rito funerario, praticato sul cadavere.
Il famoso ricercatore ed anatomo-patologo peruviano Pedro Weiss trovò che il 45% dei crani rinvenuti nelle cavernas di Paracas (600 a.c.) aveva subito una trapanazione cranica. All’inizio del secolo scorso alcuni ricercatori, stupiti dalla alta concentrazione di reperti rinvenuti in Francia, avevano già proposto una prima classificazione, distinguendo la trapanazione chirurgica dalla trapanazione postuma.
 
Dott. Ramirez, Per quale motivo si trapanavano anche i crani dei defunti?

Alcuni studiosi hanno proposto che il frammento prelevato dopo la morte avesse un significato di amuleto o di trofeo. E’ a tuttoggi un enigma che si aggiunge all’alone di mistero che circonda le origini storiche della neurochirurgia.

Entriamo in una saletta semibuia dove sono esposti alcuni crani illuminati da faretti nascosti che creano un’atmosfera suggestiva, misteriosa. Alejandro Ramirez mi guida verso una bacheca di vetro.

Questo è il cranio di un uomo adulto. Qui vediamo chiaramente un esempio di trapanazione per raschiamento mediante l’utilizzo di una pietra abrasiva (Fig. 1).


Fig. 1

Questa tecnica era la più semplice, la più diffusa ed anche la più antica. Richiedeva tuttavia tempo, come ha dimostrato già nella seconda metà dell’ottocento il famoso antropologo francese Paul Broca: dimostrò la fattibilità di questo intervento sul cadavere di un uomo adulto impiegando circa 50 minuti di lavoro manuale. Tutto questo dimostra anche che gli antichi chirurghi dovevano avere a disposizione valide tecniche di sedazione, quindi una buona conoscenza delle droghe e delle piante medicinali delle loro regioni.
 
Mi guida poi verso un altro reperto.
Questo invece è un evidente esempio di perforazione (Fig. 2).


Fig. 2

Veniva praticata ricorrendo all’uso di un rudimentale trapano a mano. Prima si praticava una serie di fori ravvicinati che poi venivano uniti con l’uso di uno strumento tagliente di ossidiana (Fig.3) 


Fig. 3

Ci soffermiamo a osservare altri reperti; mi concedono di scattare alcune foto.
La tecnica più sofisticata è quella delle incisioni praticate con i tumi, i ben noti strumenti a taglio con la lama a forma di mezzaluna. I tumi erano i bisturi usati dagli antichi chirurghi e dai sacerdoti durante i riti sacrificali (Fig. 4).


Fig. 4

La tecnica delle incisioni era piuttosto diffusa e facilitava la cranioplastica, ossia la chiusura della breccia ossea per favorire la guarigione. Per vedere tutto questo, però, ci dobbiamo spostare al Museo de Oro.
 
Un taxi ci trasporta attraverso il caotico traffico di Lima, in una rara giornata di sole per questa megalopoli, di solito avvolta da un’umida e appiccicosa nebbiolina.
Il Museo de Oro raccoglie una ricca collezione di antichi monili, stoffe, mummie ottimamente conservate, ceramiche, armi di varie epoche.
Scendiamo nel piano seminterrato e ci fermiamo di fronte a una vecchia bacheca di legno e vetro. Ed ecco: uno dei crani più famosi al mondo! Una lamina di oro bombata in modo da ricomporre la continuità della calotta cranica ottura perfettamente un’ampia breccia ossea.

Per quanto riguarda questo reperto non è corretto parlare di trapanazione: l’apertura è stata praticata con incisioni lineari profonde che si intersecano in modo da ottenere un foro rettangolare. Questo metodo permetteva, al termine dell’intervento, di riporre in sede il frammento di osso rimosso. Il mondo preistorico è pieno di esempi di trapanazione, mentre rare sono le cranioplastiche. (Fig 5)


Fig. 5

In questo cranio, invece, è stata addirittura utilizzata una protesi costituita da una lamina d’oro, inserita a pressione tra i due foglietti di osso corticale e stabilizzata in questa posizione.
Si tratta di un intervento complesso che documenta una importante evoluzione della tecnica chirurgica: richiedeva esperienza e manualità, oltre alla tecnologia necessaria per modellare la lamina di oro, una vera protesi, con la forma e la convessità desiderata.

Circa un’ora dopo, è ormai l’imbrunire, stiamo gustando un piscosauer, il noto aperitivo peruviano superalcolico, seduti sulla terrazza di un locale nel quartiere di Miraflores. Davanti a noi l’immensa distesa dell’oceano pacifico si perde all’infinito in una leggera foschia.
Un quesito da porsi, dico rivolto al Dott. Ramirez, è come mai la trapanazione cranica, una pratica cruenta e rischiosa per la vita stessa, fosse così ampiamente diffusa e praticata in tutto il mondo, in zone della terra così lontane tra loro, in tutte le epoche.

C’è qualche cosa di magico, di misterioso in questo atto. Qualche cosa che collega il mondo soprannaturale a quello materiale dell’uomo. Si tratta in fondo solo di un foro nell’osso, un foro, però, che per gli antichi rappresentava una porta tra il mondo conosciuto e il mondo degli spiriti, dell’ignoto.
Solo con Ippocrate, e poi con Galeno, la trapanazione acquista un concreto significato di pratica medica, usata per lo più in caso di fratture. Nel corso dei secoli, come appare da fonti letterarie, viene utilizzata per curare altre patologie, dalla cefalea alle malattie mentali.
Poi, durante il medioevo, c’è un ritorno all’ignoranza e alla superstizione: fino a Giovanni Battista Morgagni e alla pubblicazione del suo “ De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis ” (1761) si pensava che molte malattie fossero dovute a malocchio o a demoni che un buco in fronte poteva aiutare a disperdere, come  dimostra una ricca iconografia dell’epoca. Le ricordo, per esempio, il famoso quadro del pittore fiammingo Hieronimus Bosch (1450-1516) intitolato: “Estrazione della pietra della follia”. Gli uomini sono sempre stati attratti dal fascino della trapanazione cranica, ed è così ancora oggi, perché intervenire sul cervello significa intervenire sulla coscienza.
Bart Huges, un giovane olandese figlio dei fiori sosteneva che praticare un foro nella scatola cranica significava liberare il cervello, ampliare la coscienza. Nel 1965, praticò l’autotrapanazione. L’operazione durò quarantacinque minuti. Sopravvisse e divenne il guru della trapanazione. Trasmise le sue convinzioni ad alcuni suoi seguaci che per entusiasmo e sotto l’effetto di LSD e di altre droge lo imitarono. Ne fu tratto un film: ”The Brain” del 1970.
 
Vuole dire che si bucavano la testa con un trapano?

Proprio così! E’ incredibile ma furono una ventina le persone che lo fecero! E poi ancora: esisteva in Messico, non molto tempo fa, una Church of Trepanation, dove era possibile farsi trapanare il cranio per un modico prezzo.

Il Dott. Alejandro Ramirez mi racconta tutto questo fissandomi con i suoi occhi neri e sul viso un’espressione intelligente e curiosa e sorridendomi con sottile ironia, alza il bicchiere di piscosauer: Salud!
Uscita nr. 21 del 20/05/2011