:: SCIENZA    
 

LA DANZA DEI CROMOSOMI
Anna Valerio

     
 

Oggi sono così abusate le locuzioni:”…è scritto nel mio DNA…., è nei tuoi cromosomi…….” che le si sentono usare frequentemente nelle occasioni più disparate.
E noi, siamo certi di sapere che cosa si nasconde dietro a queste parole?
Cerchiamo di capirlo insieme!

Il DNA, si sa, è contenuto nel nucleo delle cellule ed è presente in strutture ordinate e compatte che chiamiamo cromosomi. Il numero di cromosomi è caratteristico ed in qualche modo identificativo di ogni specie, infatti tutti gli individui “normali” appartenenti a quella specie posseggono, in ogni loro cellula, quel certo numero di cromosomi.
Nel regno animale averne un numero maggiore o minore generalmente comporta incompatibilità con la vita; solo in alcuni rari casi è possibile la sopravvivenza, caratterizzata però da gravi anomalie o importanti menomazioni.

Volendo limitarci a parlare della specie umana, l’individuo normale è caratterizzato dalla presenza, nel nucleo di ogni sua cellula di ogni tessuto ed organo, di 46 cromosomi, o per meglio dire di 23 coppie.
Eh sì, generalmente si preferisce parlare di coppie di cromosomi perché tutte le cellule presenti nella maggior parte degli animali e delle piante, ad eccezione dei gameti dei quali parleremo tra breve, contengono due serie di queste strutture (la chiamiamo condizione diploide); una delle quali deriva dal genitore femmina e l’altra dal genitore maschio attraverso i loro gameti.

Ed è proprio per questa ragione che la progenie di una coppia avrà ereditato il 50% dei cromosomi dal padre e il 50% dalla madre; in tal modo possiederà geni sia paterni che materni i quali, rimescolandosi tra loro, le garantiranno quelle caratteristiche che le sono proprie.

Al contrario, le cellule gametiche, che sono gli ovuli e gli spermatozoi, dalla cui unione si genera una nuova vita, sono invece aploidi, cioè possiedono solo la metà del numero dei cromosomi rispetto a tutte le altre cellule di quell’organismo.
Ed è proprio questa condizione che garantisce, attraverso la fecondazione, il ripristino del corredo cromosomico intero tipico di quella specie.

La fecondazione è allora un processo che nell’uomo, attraverso l’unione di due gameti, ognuno con 23 cromosomi, porta alla formazione, nuovamente, di una cellula con 46 cromosomi.
Da questa prima cellula, che chiamiamo zigote, avrà poi origine il nuovo individuo attraverso un processo che prevede divisioni cellulari, crescite, differenziazioni, trasformazioni e interrelazioni di cellule e gruppi di cellule che, a partire dalle prime fasi della gestazione con lo sviluppo embrionale, porteranno alla strutturazione dei vari organi, tessuti, apparati fino alla formazione del feto maturo, pronto per la nascita.

Come è possibile tutto ciò? E soprattutto come avviene?

Il fatto che nel nucleo dello zigote siano presenti 23 coppie di cromosomi e che un elemento di ogni coppia derivi dal padre e l’altro elemento dalla madre è reso possibile dalla modalità stessa di produzione dei gameti: la meiosi.
 
Questo processo è senz’altro uno dei più affascinanti della biologia.

Di che cosa si tratta?
E’ presto detto: da una cellula con 46 cromosomi ne originano due, ognuna di 23.
O per meglio dire nel processo di formazione dei gameti (che sono nella femmina gli ovuli nel tessuto ovarico e nel maschio gli spermatozoi nel testicolo), una cellula con 46 cromosomi darà origine a gameti tutti con 23 cromosomi.

Ma ciò che è sorprendente per la sua semplicità, precisione, inequivocabilità e versatilità al contempo è la modalità con la quale si realizza questo processo.

Nei nuclei delle cellule progenitrici dei gameti, i 46 cromosomi (23 di origine materna e 23 paterna, come ormai ben sappiamo) iniziano a muoversi, come in una sorta di “danza” che li porta prima o poi ad incontrare il proprio corrispondente, cioè l’altro elemento simile a sè stesso con il quale formare la coppia; un cromosoma di origine materna si avvicina così al suo corrispettivo di origine paterna, e questo accade a tutte le 23 coppie.
E’ come se i cromosomi si cercassero, o meglio come se ognuno di loro desiderasse il suo corrispondente.
Non sappiamo ancora come questo accada, ogni cromosoma sa riconoscere tra tutti il proprio partner di danza e vi si allaccia in una sorta di abbraccio. Non basta: come se ci fosse la consapevolezza che quella sarà l’unica occasione di contatto e poi si dovranno allontanare per sempre, i due cromosomi accoppiati intrecciano tra loro un legame fisico molto stretto e prolungato arrivando perfino a scambiarsi tra loro delle parti.
Tale evento viene chiamato crossing-over, fu osservato e descritto per la prima volta da Stern nel 1931 nel moscerino della frutta, la drosophila melanogaster.

Questa unione con scambio fa sì che, quando la musica si spegne e giunge il momento nel quale i due elementi di ogni coppia devono per sempre separarsi, poichè il loro destino è di finire ognuno in un gamete diverso, portino entrambi con sé una parte di DNA che apparteneva al partner, a perenne ricordo del loro incontro.
Quanto detto si verifica per ognuna delle 23 coppie e, nel momento del distacco, il destino di un elemento di una coppia non sarà necessariamente lo stesso di quello di un elemento di un’altra coppia. Insomma i ballerini, come in una quadriglia, si avvicinano, formano coppie, si scambiano parti affettuosamente e poi si allontanano e, con ordine sparso ed apparentemente senza un disegno preordinato ma solo a seconda della posizione assunta nel momento in cui la danza finisce, si troveranno a far parte, assieme ad altri elementi di ognuna delle 23 coppie, di un gamete diverso che erediterà quindi cromosomi materni e paterni senza un preciso rapporto.
Ed è proprio grazie a questa dinamica che i diversi gameti che si formano con la meiosi contengono DNA tra loro diverso e le differenze non sono per noi oggi assolutamente prevedibili.
 
Quanto è stato detto è vero sia per quanto riguarda gli ovuli che per gli spermatozoi; ne consegue che la progenie che tali gameti fecondati potranno generare sarà estremamente variabile e questo è senz’altro un grande vantaggio dal punto di vista dell’adattamento evolutivo poiché con la varietà ci sarà sempre un individuo che avrà ereditato caratteristiche favorevoli alla sopravvivenza nell’ambiente e in tal modo la specie sarà preservata.

A testimonianza di quanto affermato basta confrontare tra loro i fratelli che, pur figli degli stessi genitori, sono spesso molto diversi tra loro; al contrario dei gemelli monozigotici che sono identici al punto di essere indistinguibili proprio perché derivano dallo stesso ovulo, fecondato dallo stesso spermatozoo.

Dall’uovo fecondato, quindi dallo zigote, al feto maturo durante questo articolato processo di crescita e sviluppo, tutte le cellule, a cominciare dalla prima, dovranno andare incontro a divisione per dare luogo ogni volta a due cellule figlie perfettamente identiche alle cellule progenitrici; ma questa volta il processo è diverso e viene chiamato mitosi.

Tutto ciò non era noto fino agli inizi del XX secolo, quando fu appunto descritto il processo mitotico. Fu infatti il tedesco Whalter Flemming (1843-1905) che, studiando i nuclei delle cellule, scoprì come alcuni coloranti fossero capaci di mettere in evidenza una sostanza (che oggi sappiamo essere il DNA), che egli chiamò "cromatina". Fu sempre lui a scoprire che durante le divisioni cellulari di un ovulo fecondato era possibile evidenziare la trasformazione della suddetta cromatina in “corpi filiformi”, in seguito chiamati appunto cromosomi -corpi colorati-. Fu lui a dare a tale processo il nome di mitosi, dal greco mitos, filo appunto. E pochi anni dopo l’americano Walter S. Sutton (1876-1916), osservò che i cromosomi erano presenti in numero caratteristico in ciascuna specie e che, nelle successive generazioni, si comportavano come quei fattori ereditari che aveva a suo tempo descritto Mendel.

La mitosi è dunque la divisione di una cellula, che dà luogo a due cellule figlie e che avviene anch’essa attraverso un processo molto preciso, accurato e assolutamente affascinante. E’ questa, si dice, una divisione equazionale in quanto le due cellule figlie sono assolutamente identiche, dal punto di vista del patrimonio genetico e quindi del numero e della tipologia dei cromosomi, alla cellula madre; hanno cioè gli stessi geni o ancora possiedono lo stesso DNA o, con termine oggi spesso abusato, sono dei cloni.

Allora questo significa che in un qualsiasi organismo vivente, uomo compreso, tutte le cellule possiedono lo stesso DNA, cioè contengono la stessa informazione genetica?
E’ così!
Salvo errori e se tutto procede in assenza di interferenze, tutte le cellule che appartengono ad un individuo possiedono lo stesso DNA, tant’è vero che è oggi possibile accertare l’identità di un soggetto in maniera inequivocabile partendo da una qualsiasi delle sue cellule.

E c’è di più! In preparazione alla mitosi e con un certo anticipo, ogni cellula duplica il suo DNA per essere in grado di fornire ad ognuna delle due cellule figlie, nelle quali si trasformerà, lo stesso patrimonio genetico che la caratterizza.
Il processo, attraverso il quale avviene tutto questo, oggi viene chiamato duplicazione del DNA e consiste di passaggi precisi, altamente regolati e controllati che si concludono solo quando tutti i cromosomi del nucleo di una cellula sono raddoppiati. Solo a questo punto la cellula è pronta per dividersi, perché solo così ha la garanzia di formare due cellule ad essa davvero uguali.

La mitosi è dunque il modo che una cellula ha di divenire in qualche modo immortale, di dare vita alla sua progenie e a questo evento si prepara con cura.

L’evento in sé consiste in una divisione molto precisa del materiale nucleare, appunto i cromosomi, che, grazie ad un sistema di fibre e ad una organizzazione spaziale perfettamente orientata, vengono divisi equamente tra le due cellule figlie proprio riservando ad ognuna di esse una di quelle due parti delle quali risulta essere costituito ogni cromosoma duplicato e tale procedura è ripetuta per tutti i 46 cromosomi.
Ad una rigorosa, come si è detto, divisione del materiale nucleare fa seguito una divisione del citoplasma, e di tutti gli organuli in esso contenuti, molto più grossolana che a grandi linee ripartisce più o meno equamente il citoplasma della cellula madre tra le due cellule figlie.
A questo punto la cellula madre non è più presente, avendo dato vita, nella sua moltiplicazione, a due cellule figlie che cresceranno, svolgeranno i loro compiti specifici legati al tessuto od organo di appartenenza, fino a che non sarà giunto anche per esse il momento di dividersi a loro volta. In tal modo il ciclo della vita prosegue.

Ma, viene da chiedersi, come mai cellule che derivano tutte da una cellula progenitrice e hanno lo stesso patrimonio genetico sono capaci di formare organi, tessuti, apparati così diversi tra loro come  cuore,  tessuto nervoso,  pelle o  polmone?
La risposta è semplice: il DNA è lo stesso ma, nelle diverse cellule, non è ugualmente attivo. Possiamo pensare che in un certo tessuto od organo si manifestino dei corredi di geni, dei gruppi o delle sequenze di DNA che, invece, tacciono, sono silenti o sono inattivati in altre
componenti dell’organismo. Insomma la dotazione è la stessa ma l’uso che le diverse parti di un essere vivente ne fanno è diverso e specifico. Naturalmente tutto ciò è altamente controllato e regolato da meccanismi e con modalità tanto semplici e non ambigue quanto affascinanti e sorprendenti.

Ancora una volta ci scopriamo ad affermare che il mondo della biologia è davvero meraviglioso e seducente!

 

Uscita nr. 07 del 20/03/2010