|  | “Palazzo  Antenore” è un pregevole edificio dei primi anni ’50 sorto a completamento  della sistemazione urbanistica di Piazza Insurrezione a Padova.   La nascita del disegno urbano relativo a questo comparto può essere  posta al 23 luglio 1922, data in cui la Camera e il Senato approvano con legge il Piano  Regolatore e di Risanamento del Quartiere di Santa Lucia che il Comune di  Padova ha iniziato ad elaborare a partire dal 1919 su iniziativa dell’Arch.  Gino Peressutti e dell’ingegner Paoletti (capo dell’Ufficio Tecnico Comunale),  che prevedeva il sostanziale sventramento di gran parte dell’edificato posto  attorno alla Chiesa di Santa Lucia per ragioni igieniche e di sicurezza. Queste  motivazioni (come ha ben raccontato Donatella Calabi nel libro “Il male  città. Diagnosi e terapia”, Officina ed, Roma), ovvero quelle di migliorare  la salubrità delle città e la possibilità di operare un più efficace controllo  della popolazione, assieme al desiderio di dotare la città di strutture  viabilistiche maggiormente adeguate alle mutate esigenze del traffico e del  progresso economico, sono state alla base della formazione dell’urbanistica  come disciplina autonoma alla fine dell’800 (con l’istituzione dei primi corsi  universitari in Inghilterra all’inizio del Novecento. Nel  caso di Padova però dietro ad esse si nascondeva una grande operazione  immobiliare volta alla valorizzazione fondiaria delle aree più povere della  città ma al tempo stesso più centrali, con la distruzione di un tessuto urbano  storico compatto e la perdita alcune importanti testimonianze storiche quali le  residenze di Pietro d’Abano, della famiglia Savonarola, e di Andrea Mantenga.
 Il  piano prevedeva la radicale trasformazione della struttura dei tipici isolati  posti a nord di Piazza della Frutta, con una nuova composizione incentrata su  due assi principali: uno in direzione Est-Ovest che univa lo japelliano Teatro  Verdi con Piazza Garibaldi, e alla cui mezzeria veniva prevista una Nuova  Piazza; l’altro in direzione Nord-Sud, che univa la Nuova Piazza con  Piazza della Frutta; dalla Nuova Piazza si dipartivano due ulteriori percorsi  posti in diagonale che andavano uno in direzione di Vicenza e l’altro in  direzione Corso del Popolo/Stazione.  A  sud di Palazzo della Ragione anche il ghetto veniva pesantemente coinvolto da  trasformazioni in tutto il settore che dal Duomo giungeva a Via Roma.
 
  Dopo l’approvazione del Piano si passò alla fase esecutiva, con  l’abbattimento dei primi isolati dietro la chiesa di Santa Lucia, ma dopo pochi  anni, nel 1927, la società A.P.E. (Associazione Padovana Edilizia) – che aveva  ottenuto dal sindaco Milani la convenzione per l’esecuzione del Piano, ed era  composta dall’arch. Peressutti e da alcuni soci romani, si sciolse per fallimento.  Sull’Amministrazione Comunale ricadde dunque il compito di portare a  definizione i comparti che erano stati liberati. La  vicenda successiva è stata dettagliatamente raccontata da Elio Franzin nel  testo “Luigi Piccinato e l’antiurbanistica a Padova 1927-1974” (Casa ed. il Prato,  Saonara, 2004). Motivazioni economiche da un lato, intervento degli organi di  tutela (la   Soprintendenza) e la pressione da parte di alcuni  intellettuali dall’altra, fecero sì che il piano non fu realizzato nella sua  interezza, ma venne limitato alla formazione della nuova piazza e di parte  dell’asse est-ovest fino a Piazza Garibaldi. Successivamente, a seguito del  concorso del 1933 per il nuovo piano regolatore, venne elaborato nel 1936 il  nuovo strumento urbanistico da parte del comune, attuato in parte ed approvato  a stralci.
 
  La nuova Piazza, denominata Piazza Spalato, iniziò a prendere  fisionomia con la costruzione dei palazzi INPS e COGI (Itala Pilsen o Palzzo  Olivieri) nel ‘36-‘38 ad opera dell’arch. Peressutti  e dell’edificio della Camera di Commercio  (1930) ad opera dell’arch. Miozzo. degli edifici razionalisti dei due Palazzi  Valle di Mansutti e Miozzo nel 1935 vicini alla casa dell’Angelo (sede attuale  del Gabinetto di Lettura). Dopo  la fine della guerra la ripresa economica porta con se la ripresa dell’attività  edilizia, e la fiducia nel futuro prende la forma dell’edificio-torre: è in  questo periodo, nel 1948, infatti che viene ad essere concepita e portata a  compimento la Casa Torre  (odierna BNL) rivestita in mattoni su 15 piani dell’Ing. Ettore Munaron, lo  stesso che ebbe l’incarico assieme a Picconato di studiare la soluzione per la  realizzazione dell’asse viabilistico in direzione Vicenza, l’odierno Corso  Milano. Poco più tardi, nel 1952,   a chiudere l’angolo nord-ovest, viene presentato da  Giulio Brunetta un progetto per l’Edificio a Torre Ci.Gi. di 80 metri, che però venne  fatta abbassare a tredici piani.
 
   E’ in questo quadro che viene a porsi  la realizzazione del Palazzo Antenore, posto a chiusura dell’angolo nord-est  della piazza, tra la Borsa  e il Palazzo COGI, in modo da costituire la cerniera con Via Martiri della  Libertà (di cui rappresenta la testata su Piazza Insurrezione), e posto in  aderenza alla Casa dell’Agricoltore già esistente in precedenza.
 Il  progetto, a firma dell’ing. Giambattista Maggioni (presente a Padova con  l’edificio d’angolo in Prato della Valle – Via Cavalletto), e con la  collaborazione informale dell’arch. Iscra, prende vita nel 1949 quando viene  richiesto il permesso di costruzione per conto della Società Finanziaria  Immobiliare di Vicenza. La Commissione Speciale per il Centro Storico lo  esamina in tre sedute tra il 1949 e il 1950, e richiede modifiche al  progettista riguardanti soprattutto l’altezza dell’edificio (si richiede di  consiglia di portare il corpo principale all’altezza del cornicione del palazzo  COGI), la connessione con l’edificio COGI, una diversa dimensione dei porticati  ed alcuni allineamenti e arretramenti. Apportate le modifiche richieste al  progetto esso viene approvato il 12 gennaio 1952 ed ottiene l’abitabilità il 24  maggio dello stesso anno. Il  complesso risulta formato da tre corpi di fabbrica che vanno a chiudere su  piazza Insurrezione l’isolato trapezoidale formato dalle Vie Martiri della  Libertà, San Fermo, Calatafimi e appunto da Piazza Insurrezione.Il  corpo principale sulla piazza si sviluppa per otto piani oltre al piano terra,  più un attico. E’ connesso lateralmente a Palazzo COGI da un corpo più basso in  cui predominano le terrazze con vetrate continue.
 Si  caratterizza per lo sviluppo verticale enfatizzato dall’alternanza di fasce  cieche in pietra con fasce ceramiche verdi in cui sono inserite le aperture  delle finestre. Ciò è dovuto all’esigenza di porsi in relazione con i limitrofi  edifici monumentali presenti in Piazza Insurrezione, che sono caratterizzati da  una forte scansione di scomparti verticali contenenti ognuno una fila di  aperture, e delimitati da lesene cilindriche di ordine gigante - nel caso  dell’edificio COGI e della camera di Commercio - o da paraste di sezione  rettangolare nel caso del Palazzo INPS.
 Il  motivo della colonna viene ripreso, ma cambiato di scala nel portico. In  corrispondenza delle fasce in pietra si trovano delle colonne binate in modo da  proseguire lo sviluppo verticale delle fasce fino al piano terra. A movimentare  le masse sono poi posti sulla destra dei poggioli studiati per creare effetti  chiaroscurali attraverso la svasatura dell’intradosso del solaio e attraverso  il foro a ridosso della parete in corrispondenza della fascia di pietra.
 
  Il corpo su Via Martiri della Libertà, più basso di due piani, si pone  a collegamento tra il corpo principale sulla piazza e la Casa dell’Agricoltore. Due  fasce cieche verticali in pietra bianca delimitano la successione dei nastri  orizzontali in cui sono collocate le finestre non continue ma separate da brevi  tamponature arretrate; al primo e all’ultimo piano due lunghi terrazzi a  sporgere creano un limite alla partizione della facciata. La  fascia cieca centrale, leggermente sporgente, prosegue fino al piano terra dove  però si apre ad accogliere una scultura visibile sia dal portico che dalla  strada, opera dell’artista veneziano Giuseppe Santomaso.
 Questo  corpo presenta un linguaggio che idealmente si avvicina maggiormente a quello  di Palazzo Valle di Mansutti –Mozzo a fianco della Casa dell’Angelo, con  un’adesione più chiara agli stilemi del movimento moderno.
 Al  P.T. le strutture verticali in corrispondenza del portico prendono la forma ora  di colonne tonde, singole o binate, ora di setti in C.A.;
 L’edificio  viene concluso ai piani attici con più snelle colonnine in C.A. o in ferro a  sostenere la copertura che fuoriesce a sbalzo.
 Dal  punto di vista distributivo l’edificio è caratterizzato da una separazione tra  i parcheggi posti al piano interrato, l’attività commerciale sita al piano terra  e occupante anche il sedile del cortile interno, (con una interessante  copertura voltata ed illuminata da elementi di vetrocemento circolari), e  l’attività residenziale collocata nei piani superiori.
 
  I piani residenziali sono costituiti da 3 appartamenti ognuno dei  quali corrispondente ai 3 corpi; i corpi su Via Martiri della Libertà e sulla  Piazza sono collegati da un vano scala situato all’angolo interno del  fabbricato in funzione di cerniera, mentre il corpo adiacente palazzo COGI  utilizza un vano scala proprio. I  rivestimenti sono in pietra bianca, in intonaco e in ceramica verde.Questo  dell’uso della ceramica in architettura è un interessante tema che viene più  volte affrontato in molte architettura padovane degli anni ’50, laddove si  cercava di dare dignità estetica ad edifici che altrimenti non avrebbero  ottenuto probabilmente il consenso della committenza, e si accompagnava  solitamente all’uso del mattone. Gli esempi più riusciti  sono quelli in cui l’uso non è avulso dalla  struttura dell’edificio, come ad esempio nella chiesa di Sant’Alberto Magno di  Giovanni Zabai a Città Giardino, in cui gli elementi ceramici sono incapsulati  nell’apparato di facciata e fungono da elemento illuminante per l’interno. A  livello nazionale un esemplare maestro ne fu certamente Giò Ponti, che non a  caso dedicò a questo edificio un trafilo sul n. 280 del Marzo 1953 di Domus.
 A  Palazzo Antenore la ceramica viene usata in più occasioni, come già detto sia  nelle campiture sottofinestra della facciata sulla Piazza, sia nel sottoportico  dove Giuseppe Santomaso realizzò anche il rivestimento  decorativo delle spallette dei pilastri  dell’atrio, a fianco del portone di ingresso. Ma la troviamo anche ad esempio  nell’atrio interno di ingresso, dove le pareti   sono rivestite con piastrelle realizzate su disegno accostate alle  boiseries in legno e ai controsoffitti in gesso rigatino.
 Come  asserisce Roberto Masiero, nella monografia dedicata a Giulio Brunetta, nel  secondo dopoguerra “gli ingegneri non presteranno, in Italia, attenzione a  questo tentativo di trasformare il Moderno in Tradizione. Cercheranno un  profilo basso, costruiranno ideologicamente un disegno meramente funzionale  all’edile..”, ed quella in cui erano immersi era una cultura “che vuole  evitare ogni problematicità, che ha nella tecnica e nell’economia le sue  certezze e che si rivolge all’idea di una professionalità tesa a risolvere le  richieste della committenza e quindi ad adeguarsi a linguaggi socialmente  consolidati anche se caratterizzati dalla necessità del Moderno (i positivisti  direbbero del progresso)”. Palazzo  Antenore, è immerso appieno in questo tipo di cultura, e ne è figlio diretto.  Anche se non rappresenta una delle punte più alte dell’architettura cittadina  rimane comunque esempio di alta professionalità, e presenta elementi di  interesse che è opportuno conoscere.   Foto dell’autore.Dall’alto:
 
          
              Veduta da piazza InsurrezioneVeduta da Via Martiri della LibertàLa scultura di facciata su Via  Martiri della Libertà, di SantomasoLa e decorazioni ceramiche sul  sottoportico su Via Martiri della Libertà, di SantomasoIl numero di DOMUS n. 280  del 1953
              L’atrio di ingresso |