:: SCIENZA | ||
ANDAR PER FUNGHI…CHE PASSIONE! Anna Valerio |
||
Già, agosto è iconograficamente il mese dei funghi, almeno per alcune aree del nostro Paese. Ed è in questo periodo che si scatenano i cercatori, esperti o occasionali che siano, irresistibilmente attratti da questi organismi che, a partire dal 1968, appartengono a quello che è stato definito il “4° regno della natura”. Sin dai tempi antichi hanno stimolato la fantasia dell’uomo che li ha avvolti di un alone di magia e mistero e li ha resi protagonisti di credenze e leggende popolari. La ragione? Probabilmente la loro innegabile particolarità, questo non appartenere né ai vegetali né tantomeno al mondo animale, il loro piacevolissimo e inconsueto sapore ma anche la pericolosità di alcune specie o gli effetti allucinogeni di altre tanto che, a tale riguardo, i popoli mesoamericani li definivano “carne divina”. Nei riti sciamanici la ben nota Amanita Muscaria era usata a scopi religiosi sia in Europa che in Asia e nella Cina imperiale il particolare fungo ku che cresce all’interno delle cavità dei tronchi degli alberi della canfora (Antrodia Camphorata) era ritenuto avere eccezionali proprietà terapeutiche tanto divenire simbolo di lunga vita, legato in qualche maniera all'immortalità. Molto più prosaicamente nella Roma antica, invece, questi delicati organismi erano apprezzati soprattutto per le loro qualità sulla tavola. E ciò che solletica i palati più esigenti è strettamente legato proprio alla natura stessa dei funghi che sono strutture eterotrofe, cioè ricavano le sostanze nutritive dall’ambiente esterno assorbendole attraverso le pareti. Così profumi e umori della foresta, aromi del sottobosco e delle bacche che crescono vicine, tutto contribuisce a dare al fungo quel suo particolare sapore. Già Plinio il Vecchio, nel I sec d.C., lo sapeva tanto da affermare, nella sua Naturalis Historia, che i funghi intessono un legame strettissimo con l’ambiente nel quale crescono tendendo ad assorbire tutte le sostanze che trovano disciolte nel terreno. Mai dunque cibarsi di funghi cresciuti nei pressi di resti ferrosi o con presenza di cuoio, si diceva, infatti troppo ferro o l’arsenico presente nella concia dei pellami possono rendere non edibile anche il porcino più pregiato. Tutti i funghi sono in grado di decomporre il materiale organico presente nel terreno e, così facendo, ricoprono un ruolo importantissimo nell’equilibrio dell’ecosistema rendendo biodisponibili per le piante verdi alcuni elementi inorganici, presenti nell’ambiente. Inoltre sono capaci di degradare qualsivoglia composto organico, dalla lignina alla cellulosa, grazie ai numerosissimi enzimi che possiedono, fino a renderli progressivamente sempre meno complessi e ottenere l’elemento minerale semplice facilmente assimilabile. Un esempio per tutti l’Hermodendron resinae che è in grado di metabolizzare perfino il cherosene e le cui caratteristiche hanno spinto i ricercatori a prendere in seria considerazione il ruolo di notevole rilievo che questi organismi hanno nel riciclare la materia organica di rifiuto. Nella lotta biologica integrata alcuni funghi vengono oggi usati come insetticidi oppure negli interventi ambientali allo scopo di degradare inquinanti chimici pericolosi. Una strada questa che si preannuncia particolarmente interessante. Ma i funghi sono elementi preziosi anche per altre ragioni: infatti sono fonte di un’ampia gamma di molecole naturali: dagli antimicrobici alle vitamine, da molecole con attività antitumorale ad altre in grado di inibire la produzione endogena di colesterolo. Inoltre molte specie vengono utilizzate in campo farmaceutico per produrre antibiotici o usate per le loro proprietà psicotrope e, più di recente, grazie all’ingegneria genetica, si è arrivati alla modificazione genetica di lieviti, rapidi a crescere in grandi impianti di fermentazione, per la produzione sistematica di svariati principi attivi. Come ben sappiamo perfino alcuni apprezzati formaggi richiedono nella cagliata l'inoculazione di specie fungine capaci di conferire quel sapore unico e quella consistenza tutta particolare. Ecco, quindi, se ancora ce ne fosse bisogno, un bel po’ di ragioni per inoltrarci in un bosco, specie dopo una pioggerella agostana, e iniziare la ricerca. Naturalmente facendo ben attenzione alle regole di raccolta e … a che cosa finisce nel cestino. Sì. Perché, come si sa, alcune specie velenose non sono facilmente distinguibili da quelle mangerecce e, se non si è esperti, è bene farle controllare prima di passare alla cottura. Ma il rischio di raccogliere un fungo velenoso è l’unico problema? Purtroppo no, soprattutto dopo il disastro di Černobyl'! Classificato - insieme al più recente di Fukushima Daiichi del marzo 2011 - come evento catastrofico con il livello 7, il massimo della scala INES (International Nuclear and Radiological Event Scale) dell'IAEA (agenzia internazionale per l'energia atomica), ebbe luogo il 26 aprile 1986 per cause che, negli anni successivi, furono attribuite sia a gravi mancanze da parte del personale tecnico e dirigente, sia a errori nella progettazione dell’impianto e della struttura. La finalità del reattore implicato nel disastro era la produzione di elettricità per uso civile e di plutonio ad uso militare. (*) Nel corso di un test per valutare (ironia della sorte!) la sicurezza dell’impianto, il personale violò svariate norme di sicurezza e di buon senso, portando a un brusco e incontrollato aumento della temperatura il nocciolo del reattore n° 4 della centrale (i quattro reattori, insieme, producevano circa il 10% del fabbisogno energetico dell’Ucraina). Questo determinò la scissione dell'acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno con tali elevate pressioni da provocare la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore stesso. Il contatto con l'aria sia dell'idrogeno che della grafite incandescente delle barre di controllo innescò, a sua volta, una terribile esplosione che provocò lo scoperchiamento del reattore che a sua volta innescò un vasto incendio. Una nuvola radioattiva fuoriuscì dal reattore e ricadde per un raggio di trenta chilometri intorno alla centrale, contaminandola pesantemente e rendendola off limits per l’insediamento umano per i prossimi 20000 anni. L'esplosione rilasciò una ricaduta 400 volte più radioattiva della bomba di Hiroshima, contaminando più di 200.000 km quadrati d'Europa. (circa il doppio dell'intera Irlanda). Infatti il disastro si estese oltre i confini del paese e nubi radioattive si spinsero ben più in là. Sabato 26 e domenica 27 aprile il vento soffiava verso nord e questo portò la nube in Bielorussia e negli Stati Baltici, per girare poi verso nord-ovest il lunedì successivo su Svezia e Finlandia e infine verso ovest, su Polonia, Germania settentrionale, Danimarca, Paesi Bassi, Mare del Nord e Regno Unito. Da martedì 29 aprile a venerdì 2 maggio un'area depressionaria sul Mediterraneo si spostò a sud e ciò richiamò un flusso d'aria da nord-est su Cecoslovacchia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Austria e Italia settentrionale, scivolando poi in parte sull'arco alpino e investendo Svizzera, Francia sud-orientale e Germania meridionale, e in parte sull'arco appenninico e quindi sull'Italia centrale. Da domenica 4 a martedì 6 maggio il vento girò verso sud, investendo di nuovo Ucraina, Russia meridionale, Romania, Moldavia, penisola balcanica fino alla Grecia e alla Turchia.(**) L'emissione di vapore radioattivo cessò sabato 10 maggio 1986. Così fu coinvolta tutta l’Europa, anche se con con livelli di contaminazione via via minori, e non solo in quanto la nube raggiunse anche porzioni della costa orientale del Nord America. Nell'atmosfera a causa del fall-out, si dispersero considerevoli quantità d’elementi radioattivi come il 134Cs (emivita due anni) e il 137Cs (emivita trenta anni). Questi sono due isotopi del cesio (gli isotopi di un elemento hanno uguale numero atomico, quindi uguali caratteristiche chimiche di reattività, ma diversa massa) e il cesio è un metallo alcalino con lo stesso comportamento chimico del potassio, ma che in natura è raro e normalmente assente nell’uomo e nel suo cibo. (***) Ma, malgrado siano trascorsi ormai quasi 30 anni dall’evento, in talune regioni dell'Unione Europea alcuni prodotti del bosco tra cui bacche selvatiche, mirtilli, bacche di rovo, lamponi, more di rovo e fragole selvatiche, nonché varie specie fungine - soprattutto Porcini-, la carne della selvaggina e i pesci carnivori d'acqua dolce continuano a registrare livelli di 137Cesio che superano i 600 Bq/Kg quando l’allora Comunità Europea aveva emanato un regolamento circa le condizioni d'importazione dei prodotti agricoli originari dei paesi terzi (Regolamento 1707/86) indicando per i funghi il valore massimo appunto di 600Bq/kg. Oggi è ancora in vigore il regolamento (CEE) n. 737/90 che impone agli stati membri di accertare che i certificati di esportazione, rilasciati dalle autorità competenti dei paesi terzi, attestino che i prodotti che essi accompagnano rientrano nei livelli consentiti fissati dall'art. 3 del regolamento stesso. E tra tutti, pare proprio che i funghi siano gli elementi più a rischio di contaminazione da cesio, se non proprio quelli più a rischio. Addirittura, per una loro intrinseca proprietà, vengono usati come bio-indicatori del livello di contaminazione dei vari siti in quanto accumulano, nello specifico, 137Cesio, elemento che non si presentava in natura prima che iniziassero i test nucleari essendo un sottoprodotto della fissione nucleare artificiale di esclusiva provenienza dai reattori, qualora vi sia emissione a causa di incidente. Gli esseri umani possono esserne esposti respirandolo, bevendolo o mangiandolo. Anche se in aria i livelli di Cesio sono generalmente bassi, esso può viaggiare per distanze lunghe prima di sedimentare sul terreno, e Cesio radioattivo è stato rilevato nelle acque superficiali in quanto è solubile in acqua così come in molti tipi di alimenti ma può penetrare nel terreno ed essere ritrovato anche nelle acque di falda. Tende a legarsi fortemente alle particelle del terreno e di conseguenza non è subito disponibile per l'assorbimento attraverso le radici delle piante pertanto può essere assorbito anche molto tempo dopo. In caso di assunzione da parte dell’uomo il cesio ha lo stesso metabolismo del potassio, che è invece un elemento cruciale per la sopravvivenza dell’organismo. (****) E’ estremamente pericoloso poiché, data appunto la sua analogia al potassio e al sodio, viene fissato dagli organismi sia animali che vegetali in modo piuttosto omogeneo e uniforme, anche se tende a raggiungere le maggiori concentrazioni nei tessuti particolarmente ricchi di potassio, come quelli dei muscoli scheletrici e del cuore, da dove rilascia radiazioni ionizzanti che possono interagire con i tessuti danneggiandoli permanentemente e/o scatenando reazioni indesiderate. Se si ha intossicazione, l’eliminazione avviene per via urinaria mentre la sua permanenza nei vari distretti può essere anche di alcuni mesi. Nel 1998 forti contaminazioni di Cesio furono individuate in funghi gallinacci presenti nei supermercati del sud ovest della Francia e provenienti dall’Austria. Dopo questo riscontro vennero analizzate anche le carni della selvaggina, soprattutto cinghiali che si nutrono di funghi, e si riscontrò anche in Italia (Valsesia) contaminazione di quelle carni. Fu così che i funghi furono fra i principali prodotti finiti nel mirino delle differenti misurazioni di radioattività. Si dimostrarono infatti quelli che più trattenevano il 137Cesio. Le concentrazioni più elevate si rilevarono in alcuni campioni di funghi delle specie Boletus edulis, porcino comune, e Xerocomu badus, specie poco pregiata e quindi meno consumata. Per anni in Alto Adige venne misurata la radioattività dei funghi in collaborazione con l’Associazione Micologica Bresadola e dai risultati si decise di dividere i funghi in “ipocaptanti”, che mostrano scarso assorbimento di isotopi radioattivi di Cesio anche in presenza di contaminazioni elevate nel terreno - presentando un’attività fino a circa 50 Bq/kg – come il Boletus edulis, Boletus pinophilus; “ipercaptanti”, che tendono ad assorbire grandi quantità di Cesio e presentano un’attività superiore a circa 200 Bq/kg (Cortinarius caperatus, Tricholoma stiparophyllum), e infine “mesocaptanti” - che presentano un’attività compresa tra circa 50 e 200 Bq/kg - Cantharellus cibarius, Cantharellus lutescens. Carlo Rossi Alvarez dei laboratori di Legnaro (PD) dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) sottolinea l’importanza del monitoraggio e della salvaguardia preventiva. “Siamo ancora sotto gli effetti che derivano dall’incidente di Chernobyl. Si consideri che il tempo necessario affinché la radioattività del Cesio si riduca della metà è di ben 30 anni” ammonisce il ricercatore. La quantità presente sul territorio italiano è mediamente non molto elevata ma esistono luoghi, come le pendici dei monti in cui vi furono precipitazioni all’epoca della nube radioattiva, con una concentrazione un po’ più alta pur senza comportare per questo conseguenze dirette per la popolazione. Il problema risiede soprattutto nel fatto che il sistema biologico (nella fattispecie i funghi) ha la capacità di concentrare elementi di cui poi si nutrono alcuni animali. Nelle carni degli animali selvatici il contenuto di Cesio si è visto aumentare quando c’è produzione di funghi nei boschi e diminuire il resto dell’anno. Quindi è d’obbligo cautela nel cibarsi di selvaggina, soprattutto carne di cinghiale ma soprattutto attenzione nel consumo di funghi! Anche un tipo di marmellata di mirtilli, prodotta in una zona montana del nord Italia, è stata recentemente ritirata dal mercato giapponese per il contenuto troppo elevato di 137Cesio pari a 140 bequerel/kg. Secondo l’azienda produttrice i mirtilli utilizzati erano stati importati dalla Bulgaria. Quegli stessi valori rientrano ampiamente entro i limiti Europei ma sono superiori a quanto previsto dalle nuove norme in materia varate nel marzo 2012 dalle autorità sanitarie del Giappone che prevedono, come limite massimo per gli alimenti solidi, 100 bequerel/kg. Considerando la situazione che si è venuta a creare nel Paese dopo l’incidente di Fukushima con la contaminazione di un’ingente parte del territorio, è comprensibile la scelta delle autorità sanitarie di abbassare drasticamente i limiti di radioattività del cibo, per compensare la contaminazione ambientale di vaste aree. Ma la buona notizia è che un gruppo di chimici dell'Università “Louis-Pasteur” di Strasburgo, guidati dalla ricercatrice Anne-Marie Albrecht-Gary, ha identificato la molecola direttamente coinvolta nel processo di fissazione del 137cesio: il norbadione A. Si tratta della stessa molecola che produce la colorazione tipica del cappello del fungo e che sarebbe una straordinaria divoratrice di 137cesio assorbendolo non solo dal terreno ma anche dall’atmosfera. I funghi che possiedono questo pigmento sono capaci di accumulare alti livelli di sostanze radioattive in modo allosterico. Questo vuol dire che non appena Cesio ed Norbadione si uniscono, il Norbadione cambia conformazione e in tal modo diventa capace di legare rapidamente un'altra molecola di Cesio che in tal modo può essere accumulato. L’aspetto che interessa molto i ricercatori, e certamente molto meno i buongustai, è che i funghi dotati di questo pigmento si può programmare di impiegarli per eliminare le scorie radioattive anche perché essi non vengono distrutti dal contatto con l’isotopo, diventano solo più “pericolosi” per il consumo umano e animale. I funghi, organismi misteriosi che hanno da sempre stimolato la fantasia tanto di scrittori quanto di grandi chef sono in realtà ricchi di sorprese e davvero tenaci e resistenti tanto che i primi segni di vita a Černobyl' dopo il disastro sono stati proprio crescite di funghi addirittura all’interno del reattore stesso.
(*) (**) (***) (****)
|
||
Uscita nr. 78 del 05/10/2018 |