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CONSTANTIN BRANCUSI E L’ARTE DEL SOSTENERE
Alice Fasano

     
 

Constantin Brancusi nasce ad Hobitza (Romania) il 19 febbraio 1876. Nel 1894 è iscritto alla Scuola di Arti e Mestieri di Cracovia, dove studia per quattro anni apprendendo le tecniche dell’artigianato popolare rumeno. Dal 1898 al 1901 frequenta i corsi della Scuola di Belle Arti di Bucarest ma, volendo approfondire la propria educazione artstica, nel 1904 si trasferisce a Parigi e l’anno dopo si iscrive all'Ecole des Beaux-Arts.

Nel 1906 espone alcune sculture al Salon d’Automne, dove conosce August Rodin. Dal 1907 lo scultore si trasferisce stabilmente nella capitale francese pur mantenendo stretti contatti con la Romania, dove torna frequentemente per esporre le sue opere. Nel 1913 cinque sculture di Brancusi sono esposte all’Armory Show di New York e nel 1914 Alfred Stieglitz allestisce la prima personale dedicata allo scultore rumeno, nella sua galleria situata al 291 Fifth Avenue.

Gli amici di Brancusi negli anni parigini sono Amedeo Modigliani, Fernand Léger, Henri Matisse, Marcel Duchamp, Henri Rousseau. Inoltre, pur non avendo mai fatto parte di alcun movimento artistico organizzato, all’inizio degli anni ’20 frequenta assiduamente Tristan Tzara, Francis Picabia e molti altri artisti dadaisti.

Nel 1926 altre due personali sono allestite presso la Wildensteine e la Brummer Gallery di New York.

L’anno seguente si apre il celebre Caso Brancusi: Edward Steichen vuole portare oltreoceano una delle numerose versioni della scultura Bird in Space, che ha acquistato in Europa, per esporla ad una retrospettiva dell’opera di Brancusi organizzata a New York. Gli ufficiali della dogana americana classificano la scultura come utensile da cucina e dunque oggetto prodotto in serie, non originale, sottoposto al pagamento di una tassa d’importazione. Lo spiacevole equivoco si ripete poche settimane dopo, quando Marcel Duchamp entra nel porto di New York con un grande Brancusi con sé. Nel gennaio 1927 le maggiori testate dei giornali statunitensi portano il titolo “L’arte di Brancusi non è arte, dichiarano gli uomini della dogana federale”. Il caso finisce in tribunale grazie alla decisa presa di posizione dell’intera comunità artistica newyorkese che, assistita da importanti avvocati ed esperti del settore, riesce a far ammettere alla Corte che qualcosa é cambiato nell’arte, tanto da poter dichiarare l’opera dello scultore esente da tasse in quanto manufatto artistico.

Negli anni successivi Brancusi visita l’India, l’Egitto e molti dei paesi europei.

Nel 1937 accetta l’offerta di realizzare due monumenti per la capitale del suo paese natale: The Column of Infinite Gratitude (più conosciuta come The Endless Column), dedicata ai caduti nella battaglia lungo la riva del fiume Jiu nel 1916, e un grande portale di pietra destinato a funzionare come accesso principale al parco pubblico di Tirgu Jiu, il cosidetto Gate of the Kiss. Successivamente l’artista aggiunge un terzo monumento al progetto: un grande tavolo rotondo in pietra soprannominato The Table of Silence, circondato da 12 sedute in pietra. L’intenzione di Brancusi è di creare un percorso lungo la riva del fiume, che dal grande tavolo accompagni il visitatore oltre il portale, verso la Colonna dedicata ai caduti: una passeggiata attraverso il parco di Tirgu Jiu si trasforma così in momento di riflessione profonda, un cammino spirituale che, anche grazie alla tranquillità del luogo, ci fa comprendere il valore della pace e aiuta a non dimenticare gli orrori della guerra. Al termine del percorso si trova la celebre Colonna Infinita, che rappresenta la quintessenza della scultura di Brancusi, innalzandosi per trenta metri grazie alla ripetizione della stessa forma plastica assunta come elemento modulare. L’opera richiama inoltre una tradizione popolare diffusa in molte zone della Romania, dove si usa erigere alti pilastri di legno in corrispondenza della sepoltura di persone morte in giovane età, intagliati con forme geometriche molto simili a quelli della Colonna Infinita.

Dopo aver realizzato questo grande progetto, forse il più grande della sua vita, nel 1939 Brancusi torna a Parigi, dove lavora spesso da solo. Nel 1949 porta a termine il suo ultimo progetto, al quale ha lavorato per oltre ventisette anni, elaborando circa nove versioni dello stesso tema: Le Grand Coq è un gesso alto poco più di un metro che, nella plastica dei suoi volumi, sviluppa e realizza il tema del volo, così caro allo scultore rumeno, iniziato con la ricerca formale per le molteplici variazioni delle opere Maistra e Bird in Space.

Brancusi muore a Parigi il 16 marzo 1957, dopo aver ottenuto la cittadinanza francese nel 1952.

 

“Everything must start from the ground”

 

Un aspetto non secondario dell’arte di Brancusi è l'attenzione prestata dallo scultore al piedistallo, il basamento della scultura, che non costituisce un semplice supporto, ma fa parte integrante dell’opera, contribuendo a sprigionare la tensione e l'energia racchiusa nella forma che vi appoggia, grazie alla sua massa, alla sua forma e alle caratteristiche del materiale di cui è fatto.

L’arte scultorea ha operato per secoli vincolata alla funzione monumentale che doveva assolvere. Tale funzione consisteva nel marcare un sito reale – tomba, campo di battaglia, via cerimoniale - nel quale si presumeva si fosse svolto un avvenimento storico o religioso molto significativo, tramite una rappresentazione del suo significato espressa da una tipologia iconologica precisa e collaudata nei secoli (es. commemorazione funeraria, pietà, statua equestre). Il basamento di questi tipi scultorei, sollevando la rappresentazione ad una certa altezza dal suolo, assumeva funzione di confine, poiché separava e al contempo collegava, il campo del reale e quello del simbolico.

Nel tardo Ottocento questa logica monumentale comincia a svanire, forse perché la volontà artistica diverge irrimediabilmente da quella dei committenti. In seguito, l’orrore suscitato dai grandi eventi storici dei primi decenni del Novecento, rende impossibile la loro rappresentazione annullando il valore della tradizione monumentale.

La scultura modernista in generale, sembra allora stabilire una scissione dell’opera dal contesto naturale (o cittadino) nella quale è collocata, creando un linguaggio formale completamente indipendente.

Nelle sculture di Brancusi, quest’urgenza si manifesta con l’inclusione del piedistallo all’interno del campo della rappresentazione, come per affermare che nessuna parte dell’opera, neppure il suo supporto fisico, sarebbe sfuggita alla trasformazione formale operata dal suo intelletto artistico.

Lo scultore, infatti, era solito ripetere «everything must start from the ground», personale aforisma che esprimeva un concetto puntualmente confermato da ognuna delle sue sculture: ogni sezione, ogni dettaglio, ogni particolare dell’opera va studiato e progettato con estrema cura e rifinito con minuzia (attenzione che si traduce nell’abitudine quasi maniacale di levigare accuratamente e lucidare a specchio le superfici delle sue sculture).

Le due Cariatidi lignee degli anni 1915-20 (Caryatid e Caryatid II), suggeriscono, già nel nome, questo proposito: la figura femminile scolpita, tradizionalmente usata in luogo di colonna o pilastro a sostegno di sovrastanti membrature architettoniche, da elemento strutturale portante diviene opera d’arte fine a sé stessa. Queste due sculture non rispondono alla necessità di sostenere qualcosa, non attendono un protagonista da esaltare, ma si offrono allo sguardo autonomamente. Sembrano affermare che veramente qualcosa è cambiato dal momento in cui l’artista, libero da ogni costrizione formale e concettuale, ha potuto esprimere sé stesso utilizzando qualsiasi mezzo ritenuto opportuno, anticipando così le rivendicazioni del pluralismo anni ’70.

Con la scultura Adam and Eve, realizzata tra il 1916 e il 1921, Brancusi sviluppa ulteriormente quest’idea progettuale: l’opera è la composizione di tre parti distinte, realizzate separatamente, che lo scultore decide di unire solo quando, “senza saper come”, nel ’21 colloca Adamo sotto Eva. La parte maschile ha quindi un ruolo ambiguo, ora scultura autonoma, ora base. In un telegramma del 1922 indirizzato a Jhon Quinn, H. P. Rochè si riferisce a questo pezzo come Adambase, appellativo inconcepibile prima della sua associazione ad Eva.

Con questo gesto Brancusi ha voluto offrire alla figura di Adamo l’agognato compito di sostenere la sua Eva (intendendo così sviluppare in senso evolutivo il significato dell’opera), oppure il suo proposito era di ribadire il concetto che ogni elemento merita di essere considerato da molteplici punti di vista poiché il significato muta a seconda del contesto in cui si trova?

Uscita nr. 78 del 05/10/2018